mercoledì 4 marzo 2009

EPIDUROSCOPIA PER ERNIE DISCALI

Mia figlia, anni 45, da tre anni soffre per ernie discali (III e IV - IV e V corpo vertebrale con compromissione sul sacco durale). Le ernie si sono manifestate dopo aver subito un tamponamento in auto. Ha fatto fisioterapia anche in piscina e, periodicamente ossigeno-ozonoterapia ma ora la situazione è peggiorata, il dolore è persistente e la gamba sinistra è dura e insensibile e si blocca dopo ore di lavoro.
Purtroppo mia figlia è allergica a tutti i fans ed ai fili di sutura per cui esita a sottoporsi ad un intervento chirurgico: sarebbe opportuno un intervento con il laser? (può causare la discite?). In quali casi è possibile un intervento di asportazione delle ernie discali in microscopia? Potreste segnalare in quali ospedali di Roma si effettuano i sopra citati interventi?
Lorenzina Viotto


Caso complesso sia per la patologia sia per le riferite allergie. Senza entrar nel merito, in considerazione della scarsa documentazione clinica, è utile informare che, oggi, esiste la possibilità di operare l’ernia discale lombare espulsa con tecniche mininvasive endoscopiche. Attraverso un’incisione tradizionale più piccola oppure, introducendo una canula dal coccige, per risalire nello spazio epidurale, fino a raggiungere la patologia ed asportarla o frantumarla (epiduroscopia). Il Laser funziona meglio con le protrusioni discali, per l’effetto di “nebulizzazione” del disco intervertebrale. L’indicazione della giusta terapia chirurgia necessita di maggiori informazioni riguardanti la morfologia delle ernie in discussione. Da noi ed in tutti gli ospedali di Roma con reparto di Ortopedia e Chirurgia Vertebrale è possibile il trattamento chirurgico con queste tecnologie.

Ginocchia che "scrocchiano"

Sono un ragazzo di 27 anni, da circa un paio di anni i miei ginocchi e quasi tutte le ossa scrocchiano, prima non mi davano fastidio ma adesso che faccio una vita più regolata mi accorgo che secondo me non è una cosa normale, premetto che cammino la mattina circa un'ora e a volte pure due e una volta a settimana gioco a calcio. L'altro giorno mentre camminavo ho avvertito un dolore all'interno del ginocchio vorrei sapere se è causata da questo rumore continuo che fanno i miei ginocchi ogni volta che li piego. Vi aggiungo che fin dalla nascita ho avuto carenza di calcio per quanto ho dei denti senza smalto che mi porto d'eredità perché anche mio padre ce l'ha come i miei. Da piccolo ho fatto una cura per il calcio sia con farmaci sia con l'alimentazione poi dopo aver compiuto 25 anni d'età mi è stata diagnosticata un'intolleranza al lattosio. Volevo sapere se è normale che i miei ginocchi devono scrocchiare o devo prendere precauzioni e se è dovuto alla mia carenza di calcio. Vi prego di volermi dare una delucidazione sull'argomento.
Domenico Olivieri


Non mi preoccuperei né dello “scrocchio”, né della carenza di calcio. Un rumore articolare può non avere una causa patologica, ma multifattoriale da deficit posturale. Uno studio della postura con esame baropodometrico e l’eventuale plantare correttivo, potrebbe risolvere il problema. La carenza di calcio colpisce le ossa in età evolutiva (rachitismo). A 25 anni, con una dieta bilanciata c’è tutto il fabbisogno di calcio che serve. Altra cosa se lo perde per malassorbimento ma allora bisogna trattare la patologia. E, comunque non è un problema delle cartilagini articolari. Invece, sarebbe meglio indagare il dolore mediale. In uno sportivo, la patologia più comune e il sovraccarico compartimentale da ricondurre al deficit posturale o su base traumatica. Una RMN di controllo dovrebbe chiarire il problema.

Spondilodiscoartrosi

Mio marito – 60 anni, in buona salute e con analisi tutte nella norma – da circa un anno lamenta un dolore muscolo-tensivo alla base posteriore del collo che non gli permette di tenere il collo perfettamente dritto e che a fatica riesce a rimettere nella giusta posizione, perché ha sensazione di “sentirsi tirare”. Abbiamo consultato diversi specialisti che non hanno prescritto cure particolare, a parte antinfiammatori, e consigliato solo ginnastica che, finora, non ha dato grandi risultati. Riesce a trovare giovamente solo tenendo una sciarpa intorno al collo che riesce a sorreggerlo e dà calore. Cosa consiglia di fare?
Allego: RX colonna cervicale e Rmn colonna cervical:

RX colonna cervicale 4 proiezioni: Rachide cervicale in asse con riduzione della normale lordosi e iniziale inversione della normale curvatura a livello di C3/C4. Marcate note di spondilosi si osservano a livello di C4/C5 e C6 con osteofiti del margine degli spigoli anteriori. Lo spazio intersomatico tra C5/C6 risulta ridotto di ampiezza.
Nelle proiezioni oblique si osserva bilateralmente una riduzione di ampiezza dei forami di coniugazione situati tra C5/C6

RMN colonna cervicale: Indagine eseguita con tecnica di acquisizione Spin-Echo, ad immagini T1, densità protonica e T2 dipendenti, secondo piani assiali, sagittali e coronali.
Ampia protusione mediana posteriore del disco intervertebrale compreso tra C3-C4, con segni di compressione radicolare ed associate note di disidratazione discale.
Protusione mediana posteriore dei dischi intervertebrali compresi tra C5-C6 e C6-C7.
Lievi e diffuse note di discopatia degenerativa su base artrosica. Manifestazioni spondilo-artrosiche diffuse, con irregolarità delle superfici articolari e piccole formazioni osteofitarie marginali. Canale vertebrale peraltro di normale ampiezza. Assenza di lesioni strutturali osseo focali con carattere evolutivo.
FRANCESCA PELLEGRINI



La spondilodiscoartrosi, parola difficile ma riassuntiva, è una delle patologie più frequenti della cosiddetta età matura.
E una degenerazione del disco intervertebrale, cuscinetto ammortizzatore, che porta a due fenomeni importanti: la fuoriuscita di materiale discale dalla sua sede nel canale vertebrale ed uno squilibrio meccanico, tra le due vertebre, che produce un sovraccarico delle articolazioni posteriori che vanno incontro ad artrosi e produzione di becchi osteofitici. Entrambi i fenomeni contribuiscono a far diventare lo spazio dove si trova il midollo spinale sempre più piccolo, stenotico. Le cause di questa patologia sono diverse. Al di là di un normale invecchiamento dei dischi e delle articolazioni, ci possono essere dei traumi violenti nel passato, oppure dei microtraumi ripetuti, oppure, più semplicemente, un deficit posturale che, dopo anni, arrivato allo scompenso, inizia a produrre dolore. Cause anche lontane di difetti dell’apparato locomotore, per esempio un piede piato valgo, oppure un ginocchio varo, una dismetria degli arti inferiori, ecc., possono portare, nel tempo ad uno sbilancio meccanico posturale della colonna vertebrale con livellamento del bacino, scoliosi di compenso e crisi delle articolazioni posteriori. Bene, che fare? Occorre innanzitutto, fare diagnosi, correggere il difetto posturale, anche con banali plantari su misura, dopo esame baropodometrico (pedana computerizzata per lo studio della deambulazione). Ginnastica posturale e terapia fisica in genere. Antinfiammatori e miorilassanti per via orale o iniezione. Nei casi acuti, qualche giorno di terapia cortisonica. Nei quadri con protrusioni discali imponenti o ernie discali, un ciclo di infiltrazioni di ossigeno-ozono terapia, può aiutare. La chirurgia è l’ultima spiaggia, quando la stenosi è serrata da ernie voluminose e produzioni artrosiche che comprimono le formazioni nervose nel canale o nel forame di coniugazione. In tutti questi casi, comunque, è bene rivolgersi ad un chirurgo ortopedico specialista della colonna vertebrale.

Ernia ed Ossigeno - Ozono terapia

Gentile dottore,
ho 74 anni, sono alto 1,88 cm e peso 115 Kg.
Tre mesi fà in sede di R.M.N. mi è stato riscontrato "il disco L4- L5, globalmente protuso, che presenta ernia con estrinsecazione posteriore mediana- paramediana ed intraforaminale sinistra; l'ernia determina compressione delle radici di sinistra di L4 e di L5". L'ernia mi procura grave dolore solo alla gamba sinistra dal polpaccio con irradiazione verso l'alto esclusivamente nella stazione eretta e senza segni di limitazioni funzionali.
Ricevo consigli medici contrastanti: alcuni in favore dell'intervento chirurgico ed altri per l'ossigeno- ozono terapia con la metodica di un'unica iniezione intradiscale o con quella di una serie di iniezioni paravertebrali.
Vorrei sapere se la ossigeno- ozono terapia, sia nell'una che nell'altra forma, presenta apprezzabili possibilità di successo e, comunque, se è consigliabile sperimentarla prima di ricorrere eventualmente alla chirurgia.
La ringrazio fin d'ora.

Michele Di Schiena


La causa della malattia discale posteriore lombare o cervicale, (spesso semplificata in “ernia del disco”) puo’ essere multifattoriale e quindi legata non solo ad una degenerazione intrinseca del disco intervertebrale, ma anche a fattori anatomici, meccanici, flogistici e vascolari. Il dolore puo’ essere condizionato non solo (e non tanto) da una patologica compressione del disco intervertebrale protuso nei confronti della radice nervosa , quanto da una stenosi del canale insorta per una degenerazione artrosica delle faccette articolari posteriori.
Il fattore meccanico non e’ mai isolato, ma e’ complicato da fattori biochimici,vascolari e flogistici. Il dolore profondo a sede lombare e’ frequentemente associato ad una contrattura dolorosa da “entesopatia inserzionale” della complessa e multimerica muscolatura delle logge paravertebrali e dai suoi legamenti. Da quanto detto, deriva che il corredo sintomatologico della malattia discale lombare o cervicale, può, pertanto, ottenere un significativo beneficio dalla diffusibilita’ di una miscela gassosa di ossigeno-ozono, le cui note potenzialita’ biochimiche, antinfiammatorie ed immunomodulanti, possono agire sia a livello dell’ernia del disco, che sulle radici nervose interessate da una flogosi cronica.
Inoltre, è bene ricordare che l’ernia del disco è una malattia autoestinguentesi, nel senso che, nel tempo (da alcuni mesi a qualche anno) tende a regredire spontaneamente. Sfortunatamente il dolore, a volte insopportabile, impone talvolta il ricorso chirurgico. Alla soluzione chirurgica appartengono anche quei casi con un quadro clinico stabilizzato di compressione radicolare, con deficit nervosi importanti. L’intervento può essere eseguito con tecnica tradizionale (che preferiamo) o con la metodica microchirurgica (con o senza l’ausilio del microscopio operatorio). Di recente hanno ripreso vigore i trattamenti percutanei: la nucleolisi enzimatica, la nucleoaspirazione discale e l’ossigeno-ozono terapia. Si tratta di metodi relativamente poco cruenti che però, a fronte di una minore invasività, hanno un’efficacia inferiore e trovano indicazione in una fase acuta prechirurgica. Si eseguono a paziente sveglio e collaborante. Con un ago o una sonda (a seconda del metodo) si raggiunge lo spazio intradiscale o il forame radicolare e si inietta l’enzima litico o la miscela di ossigeno-ozono o si aspira il materiale discale. Nell’eventualità che i trattamenti percutanei risultino inefficaci si può ricorrere all’intervento chirurgico, sempre che vi siano le indicazioni cliniche e neuroradiologiche. È comunque consigliato attendere almeno qualche settimana prima di giungere al tavolo operatorio, in quanto la fase algica post- trattamento può tendere alla risoluzione spontanea nel tempo. Il trattamento con ossigeno-ozono nell’ernia al disco lombare è sostanzialmente privo di rischi o complicanze. L’ozono agisce agevolando l’essicazione naturale del materiale discale protruso o fuoriuscito. In conclusione, se la sintomatologia dolorosa lo consente, un trattamento con ossigeno ozono (intradiscale se c’è la protrusione o paravertebrale se l’ernia è già espulsa nel canale) è indicato e, spesso coadiuvante di una guarigione clinica. Senza dimenticare la chirurgia tradizionale che può subire solo un posticipo di intervento.

Cisti di Baker

Ho una cisti di Baker nel cavo popliteo ginocchio dx. Il ginocchio è già in sofferenza con cartilagini usurate, la massa muscolare sovrastante è buona. L’attività fisica va dal nuoto alla bicicletta all’alpinismo. E’ stata siringata, con terapia antinfiammatoria con Pensaid gocce e ghiaccio. Si è riformata , altra visita ortopedica. Consiglio, limitare gli sforzi, ciclo di infiltrazioni sul ginocchio dx, ghiaccio e antinfiammatori.
L’ortopedico ha escluso l’intervento chirurgico, e se peggiora si dovrà fare una risonanza magnetica. Una soluzione definitiva c’è o no? La ciste può risolversi da sola? L’uso di glucosamina può far bene al ginocchio? Grazie mille.
Fiorenzo Nardi – Brescia


Le cisti di Baker, note anche come cisti poplitee, costituiscono una patologia piuttosto comune, che colpisce le articolazioni in generale, ma prevalentemente il ginocchio e l'area del cavo popliteo (o fossa poplitea), parte posteriore della coscia nella quale sono raggruppati i muscoli necessari per il piegamento del ginocchio e la conseguente flessione della gamba sulla coscia. Le cisti di Baker possono presentarsi in qualsiasi fascia d'età e, a seconda delle dimensioni e dell'area colpita, possono raggiungere diversi livelli di pericolosità, per cui in certi casi risulta necessaria l'asportazione tramite intervento chirurgico. Attualmente si ritiene che le cisti poplitee siano dovute a un'anomala distensione della borsa del gastrocnemio-semimembranoso oppure, in misura minore, a un'estroflessione della membrana sinoviale articolare. Nella maggior parte dei soggetti normali è comune ritrovare una comunicazione anatomica tra la borsa del gastrocnemio-semimembranoso e il cavo articolare, tendente ad accentuarsi con l'avanzare degli anni. La borsa è posizionata tra il capo mediale del gastrocnemio e il muscolo semimembranoso, con la conseguenza che, in caso di versamento articolare, aumentando la pressione all'interno della cavità, il liquido può tranquillamente infiltrarsi nella borsa con un meccanismo a valvola che consente, tuttavia, soltanto il passaggio del liquido dal ginocchio alla borsa e non il contrario. Il liquido che penetra all'interno della borsa ne provoca una distensione, formando appunto le cisti. Le cisti di Baker possono scaturire inoltre per altri motivi: in certi casi possono formarsi senza il versamento intra-articolare, per esempio a causa di una borsite primaria; spesso accade che le cisti siano conseguenti a un'erniazione della membrana sinoviale in un'area di minor resistenza della parte posteriore della capsula articolare, per esempio tra il muscolo del gastrocnemio e il soleo. Solitamente le cisti poplitee si sviluppano in senso caudale e medialmente, mentre non capita quasi mai che si distendano in alto verso la coscia. Esistono numerose condizioni in grado di causare la formazione delle cisti di Baker. Le patologie più comuni nelle quali vi si assiste sono: l'artrite reumatoide e, meno frequentemente, l'artrite psoriasica. Piuttosto diffuso è inoltre il riscontro di cisti nella gonartrosi, soprattutto per ciò che concerne le forme a maggiore stampo sinovitico. Casi di cisti poplitee sono noti anche in altre tipologie di malattia come le connettiviti, la sinovite villonodulare o, infine, l'amiloidosi. Esiste anche una causa sportiva o predisponente: lo sforzo prolungato tipico del maratoneta può facilitare o causare la patologia. È quindi la quantità piuttosto che la qualità sportiva a essere responsabile.
Le cisti di Baker possono essere curate secondo diverse procedure, a seconda dell'origine, del loro grado di sviluppo e dell'area interessata. Nei casi in cui l'origine delle cisti sia traumatica è possibile somministrare dei semplici farmaci antinfiammatori, utilizzando le tecniche di ionoforesi (della durata di almeno 30 minuti) e di mesoterapia. Le cisti che si formano per sfiancamento della parete articolare posteriore, dovuta per esempio alla rottura del menisco o a un problema dell'articolazione, possono essere sottoposte ad artroscopia e pulizia dell'articolazione. Però, la soluzione definitiva è l’asportazione chirurgica per via posteriore. Noi consigliamo un app. gessato, nel post intervento, per 10 gg, per evitare le recidive. Tra le possibili complicanze che si possono avere va ricordata la compressione vasale, nel caso di cisti enorme, in grado di causare una sintomatologia molto simile a quella della tromboflebite, risolvibile con l’intervento.

Coxartosi Bilaterale

EGR.SIG.A
ELVIRA NASELLI

HO COMPIUTO ANNI 63 IL MESE SCORSO.SONO MALTO 1,76 E PESO 77 KG.
CIRCA UN ANNO E MEZZO FA MI E' STATA DIAGNOSTICATA UNA COXARTROSI BILATERALE E L'ORTOPEDICO MI HA PRESCRITTO :
-GIORNI 15 DI "DONA" DA RIPETERE DOPO SEI MESI(CHE HO POI FATTO)..
-CICLI PERIODICI DI LASERTERAPIA E FISIOTERAPIA(CHE HO FATTTO) IN UN CENTRO SPECIALIZZATO.
-CYCLETTE.CHE FACCIO TUTTORA.
-NUOTO A "RANA".CHE FACCIO TRE VOLTE A SETTIMANA.
AD OGGI POSSO DIRE CHE NON HO AVUTO SENSIBILI MGLIORAMENTI,IN SPECIE IL LATO SINISTRO MI FA SEMPRE MALE.
DOVRO' FARE A BREVE LA PROTESI?E SE SI,E' VERO CHE SI PUO' INTERVENIRE CON LE CELLULE STAMINALI?
INOLTRE CHIEDO MA E' SICURO CHE LO STILE PIU' ADATTO SIA A "RANA" E NON "LIBERO??
VI RINGRAZIO E VI INVIO I MIGLIORI SALUTI.
MASSIMO CAPUTO
NAPOLI


L’artrosi dell’anca è la patologia degenerativa della cartilagine di rivestimento della testa del femore e dell’acetabolo. Ci sono vari stadi di gravità, così come di deformazione dei capi articolari. In funzione della gravità del quadro anatomo-patologico e del dolore conosciamo diverse terapie per curare la malattia articolare. Bisogna considerare, però, che è una patologia cronica ingravescente e, più o meno lentamente, peggiora. La cura base dell’artrosi si riassume in: calore e movimento, in scarico, dell’articolazione. Il nuoto è consigliato, l’umidità meno, asciugarsi bene dopo ogni nuotata, non rimanere bagnati. Cure fisiche e termali sono indicate, così come la cyclette. Credo poco nei condroprotettori e, finora le cellule staminali non hanno dato i risultati sperati. Prima della protesi si possono tentare infiltrazioni articolari di acido ialuronico. La mia esperienza non è entusiasmante per la sovradistensione della capsula che, spesso, acuisce il dolore. Oggi, si possono impiantare differenti tipi di protesi, in base alle caratteristiche del paziente e dell’artrosi. Steli più piccoli, materiali più compatibili, tecniche computer assistite, miglior posizionamento delle componenti protesiche, ci spingono a sperare nella protesi che dura tutta la vita.

Pubalgia

Spett. Redazione,
Ho 61 anni e godo di buona salute.
Sino a due anni fa praticavo il ciclismo con regolarità:2/3 volte alla settimana percorrendo mediamente 40 chilometri.
Da due anni, probabilmente dopo aver adottato una nuova bicicletta, ho iniziato ad accusare, dopo l'attività, dei dolori nella zona pubica.La diagnosi fatta dal mio medico fu "pubalgia", ma due ecografie eseguite in diversi periodi non evidenziarono alcunché. Una terza ecografia, eseguita da un diverso specialista, circa sei mesi fa, ha invece rilevato"una alterazione della riflessione delle branche pubiche alla sinfisi per irregolarità con unghiature della corticale e tessuto produttivo degenerativo per rilevanti aspetti di tendinopatia inserzionale a carico dei retti e obliqui addominali di maggior entità del lato dx.
Non si rilevano erniazioni intestinali in sede inguino crurale; non diastasi fasciali dei retti lungo la linea mediana in fase di riposo ed in contrazione."
Dopo questo referto, il Fisiatra mi prescrisse diverse applicazioni di ultrasuoni, di laser e di ginnastica isometrica.
Il miglioramento non è stato molto evidente. Se faccio pochi chilometri 10 /15 ad andamento moderato non ho alcun problema, ma se aumento il dolore si ripresenta.
Devo aggiungere che non ho invece alcun disturbo dopo qualche giorno di riposo e neanche dopo sostenute camminate (diversi chilometri), mentre gli stessi problemi si presentano se nuoto.
Vorrei avere un vostro parere in proposito.
Esiste qualche terapia alternativa?
Disinti saluti
Antonio Pala
Cagliari



La pubalgia è un dolore al pube, osso che si trova vicino all’anca. Diversi muscoli si attaccano all’osso con i loro tendini: adduttori, pettineo, piramidale, retti addominali, obliqui addominali, trasversi addominali. Il termine è generico e inquadra diverse patologie, restringiamo il campo a quella più comune: un’infiammazione dei tendini degli adduttori dell’anca.
Viene provocata generalmente da un carico eccessivo nel corso dell'attività sportiva, dovuto a:
a) attività su fondo irregolare
b) scarpe inadeguate
c) scarso equilibrio muscolare per deficit posturale
d) infortuni precedenti non ben recuperati
e) incremento quantitativo (o qualitativo) troppo rapido dei carichi d'allenamento.
Il dolore colpisce la zona dell'inguine per estendersi alle zone circostanti e può portare all'interruzione dell'allenamento o della gara. È necessario invece un periodo di stop di 20 gg. che serve (oltre a identificare la causa del problema e predisporsi a eliminarla alla ripresa) a risolvere i casi meno gravi e a evitare il degenerare della patologia verso quadri dove si rischia di avere problemi anche a camminare. La radiografia (scintigrafia, risonanza o Tac) consente di individuare eventuali lesioni a livello dell'osso pubico, mentre l'ecografia rileva problemi alle strutture miotendinee.
In genere, se il periodo di riposo risulta inefficace, bisogna ricorrere alla terapia fisica con ginnastica specifica (allungamenti, potenziamento muscolare ecc.).
Utili le onde d’urto, il laser e le infiltrazioni con corticosteroidi. In casi particolari e generalmente più gravi si può ricorrere all'intervento chirurgico (scarificazioni tendinee).

Displasia Fibrosa

Salve,
ho una displasia fibrosa congenita dell'anca destra che nel corso degli anni mi ha provocato due fratture di femore nel 1984 e nel 1995. Ho ancora un chiodo al titanio nel femore dopo l'ultima operazione. Sapete dirmi cosa posso fare in futuro per evitare
una nuova frattura e se ci sono tecniche all'avanguardia per questo tipo di malattia ?

Grazie, cordiali saluti. FABIO FARNETI (Roma)


Non viene resa nota l’età del paziente ma, dalla descrizione, peraltro succinta dei sintomi, penso di aver capito che non si tratta della classica displasia congenita dell’anca, ma della più complessa displasia fibrosa (sindrome di Mc Cune-Albright).
Questa è una malattia, anch’essa genetica, che colpisce prevalentemente le ossa. Può associarsi a macchie della pelle (macchie caffelatte) e disfunzioni di ghiandole endocrine. La disfunzione endocrina più comune è la pubertà precoce. Raramente sono interessati anche altri organi, come il muscolo (sindrome di Mazabraud), il fegato, o il cuore.
La gravità e la manifestazione dei sintomi è molto variabile da caso a caso. La malattia ossea è il problema più grave e difficile da trattare, e causa fratture patologiche e deformità che si instaurano nell¡¦ infanzia e nell¡¦adolescenza. Il femore e le ossa del cranio sono le sedi più colpite, ma la malattia può interessare qualsiasi osso.
I primi sintomi compaiono nell¡¦infanzia o più raramente nell¡¦adolescenza, e possono riguardare sia le ossa (dolore, fratture per traumi minimi, deformazioni), che le ghiandole endocrine. Di conseguenza il modo in cui la malattia si presenta è variabile, e porta i pazienti (per lo più bambini) all¡¦attenzione di specialisti diversi (ortopedici, endocrinologi, chirurghi maxillo-facciali, neurochirurghi ecc.). Una volta diagnosticata, la malattia va inquadrata nei suoi diversi aspetti (osseo, endocrino, metabolico) in modo adeguato e specifico, ed i pazienti vanno adeguatamente seguiti nel tempo.
Al momento non esiste una cura razionale e di provata efficacia per la malattia. Le alterazioni ossee, che sono l¡¦espressione più grave della malattia, sono trattabili, da caso a caso, anche preventivamente con mezzi di sintesi di sostegno. Il processo di consolidazione, delle fratture patologiche, è ritardato e, spesso, possono recidivare. Le alterazioni endocrine sono trattabili farmacologicamente da endocrinologi specializzati.La ricerca, delle cause di alterazione genetica e dei meccanismi di malattia, è la strada per curare questa malattia. Oggi, è noto che la malattia ossea si sviluppa a partire da cellule staminali scheletriche mutate e disfunzionali. Queste cellule producono un fattore circolante, identificato nel FGF-23 (fibroblast growth factor-23). Questo causa una deficiente mineralizzazione (osteomalacia) dell¡¦osso fibrodisplastico, che di conseguenza è più deformabile e fragile che di norma. In alcuni pazienti può essere considerata efficace la somministrazione di fosfati per correggere questa importante anomalia metabolica, associata alla malattia, ma ulteriori studi clinici sono necessari per provarne l'utilità e l'efficacia. La malattia è assai più comune di quanto generalmente ritenuto, ma mancano dati precisi sulla sua effettiva frequenza. Colpisce femmine e maschi in rapporto di 3/2.

Coccigodinia

Salve sono Napoli Michele
in seguito ad una caduta sul bordo vasca ho il coccige sempre dolorante, mi decido per una lastra che evidenzia un eccessivo ricurvamento del coccige.
questo ripiegamento a detta dei dottori potrebbe essere anche naturale.
volevo sapere come poter fare a evitarmi il fastidio che oramai mi accompagna ogni volta che mi siedo.
Grazi
e


La coccigodinia è un dolore del coccige. Questo è composto da un gruppo di vertebre rudimentali, che sono poste alla fine dell’osso sacro e che rappresentano, forse, i resti della nostra coda.
Il coccige, che è formato da vertebre rudimentali e fisse, non possiede più nessuna funzione fisiologica di rilievo. Tuttavia, non di rado, in taluni pazienti può provocare dolori molto fastidiosi.
E’ bene sempre eseguire indagini diagnostiche approfondite per escludere patologie maggiori di origine neoplastica come il cancro del retto e della prostata, che possono infiltrarsi proprio nella zona retrostante, dove c’è il coccige.
Oppure, malattie infettive del retto, o malattie infiammatorie importanti come ad esempio la rettocolite ulcerosa, patologie riconducibili ad emorroidi e/o ragadi anali che, in certi casi, possono confondere il medico
Ma le cause più frequenti sono una radicolopatia lombosacrale di tipo sciatalgico e gli esiti di un trauma diretto.
La diagnosi di coccigodinia primitiva si effettua con la digitopressione sull’area del coccige e soprattutto palpando la punta del coccige.
Si dovrà eseguire una radiografia di controllo, o data la particolare conformazione dell’osso, in soggetti giovani, potrà essere sufficiente un’ecografia anche per escludere possibili altre cause, che possono a prima vista passare in secondo piano, come una cisti ossea sacro-coccigea.
La causa traumatica, tra cui non scordiamoci il trauma del parto (nelle donne), può scatenare il dolore subito, oppure con una latenza, anche di qualche anno.
Magari preceduta da dolori sopportabili, durante la posizione seduta o durante il rapporto sessuale, per poi manifestarsi in modo molto fastidioso con dolori irradiati anche solo all’area del coccige, senza nessun disturbo alle gambe ed ai muscoli glutei.
In tal caso un esame della regione coccigea, associata all’esame radiografico, potrà permettere di valutare la presenza di deformità, spesso congenite, predisponenti alla patologia.
Utili, in questi casi, una serie di manipolazioni delle ultime vertebre coccigee, associate ad infiltrazioni locali di corticosteroidi ed anestetico.
In alcuni casi, incoercibili, si può consigliare un ciclo di onde d’urto, raro il ricorso all’intervento chirurgico.

Innesto di Cartilagine

 Sono stata operata di menisco esterno un anno fa (tolto praticamente al 70%): dopo una discreta riabilitazione mi rimangono forti dolori nei movimenti di "stabilizzazione" della gamba, la sento sempre instabile e, quando mi alzo, rischio di non riuscire ad estenderla tutta perchè mi rimane piegata a 90°. L'ultima risonanza magnetica ha evidenziato un serio quadro di osteocondrite in un'area che sta raggiungendo i 2 cm. per cui in una clinica mi farebbero l'impianto di cartilagine (previo espianto un mese prima e messa in coltura delle cellule), in un altro ospedale il medico ritiene che l'area sia talmente estesa che necessita anche di un trapianto di osso e poi di cartilagine, tutto realizzato con un solo intervento e non con la messa in coltura delle cellule cartilaginee. Chiedo: come è possibile procedere ad un trapianto osteo-cartilagineo senza la messa in coltura delle cellule? Siccome l'intervento è complicato dalla post-posizione del tendine rotuleo per il riallineamento della rotula, come è possibile che in una clinica mi rimettano in piedi dopo 5 settimane, e nell'altra dopo 4/5 mesi?
Grazie per l'aiuto che potrà darmi.

Dalia Draghi



Terribile quesito, soprattutto senza sapere l’età della paziente e il quadro anatomo-patologico. Comunque, in generale:
Le lesioni cartilaginee del ginocchio sono una patologia di difficile soluzione terapeutica.
Questa patologia, di solito, colpisce la popolazione anziana (>65anni) e conduce all’artrosi.
Spesso, però, in seguito a traumi sportivi o esiti di interventi chirurgici, può colpire anche in età giovanile (<40 anni).
La sintomatologia soggettiva consiste essenzialmente nel dolore dell’articolazione interessata o della muscolatura regionale, che é più intenso al mattino, si attenua con il movimento, si può riacutizzare dopo sforzo e generalmente si attenua durante il riposo notturno.
Successivamente la funzionalità articolare diventa limitata prima dal dolore, poi dagli ostacoli di natura meccanica, (dovuti a frammenti cartilaginei che si liberano in articolazione) che possono impedire lo svolgimento delle normali attività o rendere difficili anche le abituali funzioni della vita di relazione.
Il ginocchio tende a bloccarsi e a gonfiarsi.
La lesione cartilaginea può essere estesa a buona parte del ginocchio, anche nei giovani sportivi e si parlerà allora di artrosi precoce, oppure, limitata ad alcuni punti, più o meno vasti, e si parlerà di osteocondrite.
La terapia, soprattutto nel giovane, inizia con farmaci "condroprotettori" e/o "viscosupplementazione" con infiltrazioni. Molto utile lo studio della postura per correggere difetti posturale che mandano in sovraccarico la parte malata.
Qualora tutto questo non funzionasse, il ricorso alla chirurgia si imporrebbe.
L’innesto (il trapianto è di un organo vascolarizzato) di cartilagine clonata dalle proprie cellule non ha dato i risultati sperati. Quello che si forma non è la cartilagine originaria ma una membrana fibrosa più o meno robusta. Due interventi, mobilizzazione precoce, carico dopo 40 giorni.
Simile a quella che si forma con le “microfratture”, cioè perforando la zona sofferente, con tecnica artroscopica, stimolando una cicatrizzazione (non la ricrescita della cartilagine). Mobilizzazione precoce, carico parziale per 40 giorni.
Migliori risultati li ha dati la “mosaicoplastica”. Il prelievo di una pasticca di cartilagine ed osso da zone non utilizzate del ginocchio e l'innesto nel sito danneggiato. Eseguibile in artroscopia con un unico intervento, hanno l’inconveniente di poter coprire una piccola superficie lesionata, non superiore ai 2/3 cmq. Il recupero è rapido, il carico totale dopo un mese.
Recentemente, sono stati proposti innesti di preparati osteocartilaginei “artificiali”, dalle prospettive interessanti, ma ancora sperimentali.
Se l’età è superiore ai 50 anni, si può orientarsi verso la sostituzione della parte danneggiata con un “bottone metallico” (minicup). Recupero rapido, carico immediato
Per quanto riguarda la trasposizione della tuberosità, associata, questa prevede un tutore per qualche giorno, mobilizzazione dopo tre settimane, carico con stampelle per un mese.

Noduli alla Mano

Sono una donna di 52 anni e poichè da tempo noto ai lati esterni dell'articolazione della prima falange dell'indice e dell'anulare della mano destra un leggero rigonfiamento,a volte doloroso anche solo per  sfioramento) ho fatto un esame radiologico che ha come referto:
Iniziale tumefazione delle parti molli in corrispondenza delle  articolazioni interfalangee prossimali e distali. Utili controlli a distanza dopo dosaggio del fattore reumatoide.
Il fattore reumatoide,ha detto il mio medico, è a posto ed ha chiuso la questione.
Io invece sono preoccupata poichè mia madre (77 anni)da più di dieci anni ha
tutte le dita "storte" senza particolari dolori e mi chiedevo se c'è QUALCOSA che io possa fare ADESSO o mi devo rassegnare alla naturale evoluzione di questa patologia per ora solo accennata?
Grazie


La comparsa di un rigonfiamento sul contorno delle articolazioni delle dita è un sintomo molto frequente. Più facilmente queste formazioni nodulari si trovano tra falange intermedia e distale (quella della punta del dito) e prendono il nome di noduli di Heberden. Quando essi si localizzano tra la prima e la seconda falange (per intenderci, a metà del dito) vengono detti noduli di Bouchard.
I noduli di Heberden sono caratteristici dell’artrosi, mentre i noduli di Bouchard sono frequenti in caso di patologie reumatiche (artrite reumatoide). Si tratta di alterazioni legate al depositarsi, alla periferia dell’articolazione, di “detriti” che si formano a causa del processo infiammatorio. Questi processi, a lungo andare, alterano la forma delle articolazioni determinando il problema delle “dita storte”, come lei le definisce. È proprio nelle fasi in cui la malattia (artrosi o artrite) è attiva, o acuta, che le articolazioni divengono gonfie, dolenti, talvolta arrossate e poco mobili. Durante questi periodi la malattia progredisce più rapidamente.
Molto bene ha fatto il suo medico nel prescriverle i tests reumatici (tra i quali ricordiamo la reazione di Waaler Rose, il dosaggio degli anticorpi antinucleo e antimitocondrio, il dosaggio delle frazioni C3 e C4 del complemento), per distinguere tra artrite ed artrosi.
Se, come pare, il suo è un problema artrosico, è importante “dare ascolto” ai segni che le sue dita le inviano: in fase acuta, quindi, ridurre al minimo le attività manuali e assumere -su consiglio del medico- un antiinfiammatorio a dosaggio pieno e per almeno 7-10 giorni –così da combattere non solo il dolore, ma anche il processo infiammatorio, e quindi ridurre l’attività della malattia-.
Nelle fasi di stato, invece, è opportuno mantenere mobili le piccole articolazioni della mano facendo esercizi di manualità fine (è sufficiente manipolare piccoli oggetti o modellare palline di diverse dimensioni fatte con la pasta per modellare…).
Oltre l’età di 60 anni si può impiegare con moderazione la vecchia ma valida Roentgenterapia, in ragione di un ciclo di applicazioni all’anno.
I pochi pazienti che sviluppano deformazioni tali da impedire il corretto uso della mano o che vanno incontro a periodi di dolore frequenti e non controllati dalla terapia, possono essere sottoposti ad intervento chirurgico.

Trocanterite

Da 11 mesi soffro di una trocanterite che mi causa un leggero dolore ed una sensazione di cedimento della gamba dx caricandola col peso del corpo. Sono stato visitato in questo tempo da 3 diversi ortopedici e da un fisiatra, le terapie prescrittemi sono state inizialmente 3 onde d’urto, poi antinfiammatori per via orale, quindi un ciclo di 5 infiltrazioni non cortisoniche ed infine 10 sedute di magnetoterapia, nessun miglioramento! Dalla radiografia e dalla risonanza magnetica effettuate non si evidenzia alcunché di particolare.
Ho 68 anni, non sono in sovrappeso, pratico giornalmente il gioco delle bocce, dove la flessione della gamba dx è il movimento più frequente e che mi causa i fastidi sopra citati. Vorrei conoscere quale terapie risolutiva mi consigliate.
Virgilio – Bergamo



La trocanterite è un termine vago per significare un’infiammazione della regione del trocantere. Possono essere coinvolti i tendini che si inseriscono sul grande trocantere o la borsa sierosa che li ricopre.
E’ più corretto parlare di borsite o entesite trocanterica.
La trocanterite è un disturbo comune, che colpisce in prevalenza il sesso femminile. Nei soggetti sportivi, è possibile che i microtraumi ripetuti nei movimenti di flessoestensione dell'anca portino all'infiammazione della borsa e dei tendini sottostanti. Meno chiara è l'origine della malattia nei soggetti sedentari.


Senza dubbio, un deficit posturale, uno squilibrio biomeccanico, anche post trauma, mettono in eccessiva tensione la fascia lata, quella fascia fibrosa che scivola sul grande trocantere grazie all'interposizione "lubrificante" della borsa sierosa. Questo spiegherebbe la non rara associazione tra trocanterite ed anca a scatto.
La trocanterite si manifesta con dolore sulla sporgenza del grande trocantere, e quindi sul fianco. Questa localizzazione permette di distinguerla chiaramente dal dolore articolare dell'anca, che viene avvertito prevalentemente all'inguine e al gluteo.
Dal momento che la trocanterite è un'infiammazione dei tessuti molli (borsa e tendini), l'ecografia è l'esame di partenza. Essa permette ad un ecografo esperto di riconoscere il versamento liquido all'interno della borsa trocanterica, l'edema circostante, le microcalcificazioni all'inserzione dei tendini (entesite calcifica). Tutto questo permette di fare diagnosi di certezza, se in associazione con un quadro clinico tipico.
La radiografia permette di escludere coesistenti problemi a carico dell'articolazione e, spesso, di osservare microcalcificazioni laddove i tendini si inseriscono sul trocantere.
Come per tutte le malattie infiammatorie, la prima terapia è rappresentata dal riposo, dall'applicazione (a periodi alterni) della borsa del ghiaccio, dall'assunzione di farmaci antiinfiammatori.
Importante la diagnosi posturale con un esame baropodometrico. Spesso un plantare correttivo e ginnastica posturale portano a guarigione in poche settimane.
Se così non si ottiene la remissione duratura del disturbo, è opportuno ricorrere ad un trattamento infiltrativo: 1-2 infiltrazioni intra-bursali di un preparato cortisonico permettono di disinfiammare l'area e di eliminare i sintomi in pochi giorni. In queste borsiti più resistenti, che hanno richiesto la terapia infiltrativa, è indispensabile istituire successivamente un programma di kinesiterapia composto da esercizi di stretching della fascia lata, così da ridurre il rischio di recidiva.
Nelle forme cronicizzate, ribelli ai trattamenti sopra ricordati, solo l'associazione di terapie fisiche locali (onde d'urto a bassa potenza, ultrasuoni, radarterapia, laserterapia) e di programmi riabilitativi specifici permette di ottenere la graduale scomparsa dei disturbi.

Ernia del Disco

In seguito a una forte lombosciatalgia ho effettuato sia la risonanza magnetica che la Tac dalle quali risulta la presenza in L4 e L5 di «una grossolana erniazione discale froaminale SN con effetto massa sulla radice L4». Poiché i forti dolori, protrattisi per circa due mesi (agosto e settembre di quest’anno) anche se con intensità decrescente, sono fortunatamente scomparsi, pur permanendo l’insensibilità nella parte anteriore della gamba sinistra e a volte una sensazione di bruciore a livello lombare, mi è stato detto che nel caso il dolore dovesse ripresentarsi mi sarei dovuta sottoporre a un intervento chirurgico per l’asportazione dell’ernia. Vorrei sapere se esistono rimedi meno invasivi per la riduzione dell’ernia discale e quali sono i centri più accreditati ai quali rivolgersi per la cura o l’eventuale intervento chirurgico.
Antonella Mannu – Cagliari



E’ bene ricordare che l’ernia del disco è una malattia autoestinguentesi, nel senso che, nel tempo (da alcuni mesi a qualche anno) tende a regredire spontaneamente. Sfortunatamente il dolore, a volte insopportabile, impone talvolta il ricorso chirurgico. Alla soluzione chirurgica appartengono anche quei casi con un quadro clinico stabilizzato di compressione radicolare, con deficit nervosi importanti. L’intervento può essere eseguito con tecnica tradizionale (che preferiamo) o con la metodica microchirurgica (con o senza l’ausilio del microscopio operatorio). Di recente hanno ripreso vigore i trattamenti percutanei: la nucleolisi enzimatica, la nucleoaspirazione discale e l’ossigeno-ozono terapia. Si tratta di metodi relativamente poco cruenti che però, a fronte di una minore invasività, hanno un’efficacia inferiore e trovano indicazione in una fase acuta prechirurgica. Si eseguono a paziente sveglio e collaborante. Con un ago o una sonda (a seconda del metodo) si raggiunge lo spazio intradiscale o il forame radicolare e si inietta l’enzima litico o la miscela di ossigeno-ozono o si aspira il materiale discale. Nell’eventualità che i trattamenti percutanei risultino inefficaci si può ricorrere all’intervento chirurgico, sempre che vi siano le indicazioni cliniche e neuroradiologiche. È comunque consigliato attendere almeno qualche settimana prima di giungere al tavolo operatorio, in quanto la fase algica post- trattamento può tendere alla risoluzione spontanea nel tempo. Il trattamento con ossigeno-ozono nell’ernia al disco lombare è sostanzialmente privo di rischi o complicanze. L’ozono agisce agevolando l’essicazione naturale del materiale discale protruso o fuoriuscito. In conclusione, se la sintomatologia dolorosa lo consente, un trattamento con ossigeno ozono (intradiscale se c’è la protrusione o paravertebrale se l’ernia è già espulsa nel canale) è indicato e, spesso coadiuvante di una guarigione clinica. Senza dimenticare la chirurgia tradizionale, che può subire solo un posticipo di intervento.

Piede Piatto Pronato

La storia clinica e l’evoluzione del piede piatto, purtroppo, non si conoscono. Ci sono piedi piatti infantili che non peggiorano, piedi che diventano dolenti, piedi che trovano beneficio dalle ortesi correttive (plantari) e piedi che necessitano di intervento chirurgico.
Detto questo, alla nascita, e nei primi anni di vita, il piede non ha ancora raggiunto la sua forma definitiva per cui normalmente poggia completamente a terra, anche con la zona interna. Fino ai 3/4 anni di età il piede del bambino può rimanere piatto e questo è del tutto normale.
Se, dopo questo periodo il piede rimane piatto, anzi peggiora, occorre mettere in atto rimedi che ne rallentano l’evoluzione patologica.
Le scarpe correttive ed i plantari non hanno dimostrato di poter portare alla correzione del piede piatto. Però, sono l’unico rimedio per orientare la postura e modificare la deambulazione. Uno studio baropodometrico del ciclo del passo ed un plantare su misura rimangono rimedi validi. Necessari con terreni duri; nella sabbia e, in genere con terreni sconnessi, i piedi nudi possono ricevere stimoli benefici.
Utile associare la ginnastica correttiva, soprattutto in età scolastica. Eseguire dei semplici esercizi di rinforzo dei muscoli del piede come raccogliere, con i piedi, pezzi di stoffa o altri oggetti da terra, camminare sulle punte e sui talloni, ecc.
Se il bambino, intorno agli 8-9 anni presenta ancora un piede piatto, si lamenta del dolore nella parte mediale del piede, si affatica facilmente dopo uno sforzo minimo, inizia a rinunciare alle sue normali attività sportive, se non sopporta il plantare e la ginnastica non ha funzionato, bisogna pensare all’intervento chirurgico.
Perchè dobbiamo dare un aspetto corretto al piede, mantenerlo durante il periodo dell'accrescimento, in modo che le ossa possano crescere nella giusta posizione reciproca.
L’intervento consiste nell’applicare nel seno del tarso, sotto l’astragalo una piccola vite che solleva la volta plantare mediale, attraverso una piccola incisione laterale, con anestesia locoregionale e degenza di due giorni. Si possono associare gesti chirurgici sulle parti molli (tendini) a secondo della gravità del piattismo.
Un piede piatto non corretto può portare con il tempo a deviazioni del ginocchio, dell'anca e del rachide.
Dopo l'operazione, a seconda dei casi, può essere necessario un breve periodo di immobilizzazione in gesso o tutore ed un periodo di riposo dallo sport. Al termine il bambino può riprendere tutte le normali attività sportive.
A 18 anni, siamo già al termine del periodo dell’accrescimento, ma il discorso non cambia. Se la postura è scorretta, il piede deforme e se, soprattutto, c’è dolore, l’intervento si impone.
Altrimenti se il quadro è lieve, l’esame baropodometrico ed i plantari su misura, correttivi, ci possono aiutare a ripristinare un corretto appoggio.