mercoledì 26 maggio 2010

Lesione crociato anteriore

Ho 41 anni e facendo attività di judo a livello amatoriale maggio di quest’anno mi sono fatto male al ginocchio sx. il quale il giorno dopo si è gonfiato e dopo quattro giorni mi è stato tolta un siringa con del liquido misto a sangue.
Fatto la risonanza mi è stata diagnosticata un lesione di grado medio al crociato anteriore.
Sono andato a farmi visitare da due ortopedici: il primo dopo avermi fatto fare le prove asseriva che il crociato era stato danneggiato in passato, e che non facendo io attività sportiva agonistica, potevo riprendere piano piano la mia vita normale senza nessun intervento.
L’altro dottore invece affermava che il legamento era rotto non leso e che era assolutamente da operare. Operazione che avrebbe lui stesso eseguito, a pagamento naturalmente (cosa che mi ha un po’ insospettito), presso la struttura dell’ospedale dove mi ha visitato. Per la ricostruzione del legamento avrebbe utilizzato delle fibre artificiali che secondo lui è la soluzione all’avanguardia.
Le mie domande sono le seguenti: è consigliato l’intervento visto che il ginocchio ogni tanto mi fa male, che io mi ricordi non mi ha mai ceduto anche se dal punto di vista dell’inconscio non mi fido e l’unica manovra che tuttora non riesco a fare è il distendere la gamba al massimo.è che magari in un prossimo futuro riprendere anche l’attività sportiva di judo, caricare mia figlia sullo zainetto, andare tranquillamente in montagna.
Inoltre se dovessi farmi operare sarebbe meglio usare la fibra sintetica, oppure prelevare del tessuto da altri mie tendini?
Resto in attesa di una vs. delucidazione e vi porgo i miei migliori saluti.



Intanto occorre dire che il legamento crociato anteriore del ginocchio è il fulcro del movimento naturale dell’articolazione. La sua lesione comporta ripercussioni sulla cinematica del movimento che possono procurare, a lungo andare, una sofferenza delle cartilagini articolari. Detto questo, si può vivere bene anche senza crociato. Basta tenere una muscolatura della coscia tonica, non fare attività sportiva di contrasto o con movimenti bruschi. Il judo è fra questi, pertanto se si volesse continuare a farlo, consiglierei l’intervento chirurgico. La mia preferenza è per la sostituzione con tendine rotuleo del paziente. Qualsiasi ospedale italiano con reparto di ortopedia è in grado di soddisfare le sue richieste. Nel mio sito può vedere la tecnica chirurgica
Cordiali saluti

Cartilagine Sintetica

Sono una signora di 62 anni con problemi di artrosi alle ginocchia.Gli specialisti consultati concordano sulla diagnosi(cartilagine consumata) e sulla soluzione definitiva(inserimento di una protesi).Ho fatto diverse infiltrazioni di acido ialuronico per cercare di dilazionare l'intervento ma con scarsi risultati. Recentemente,anche nel vostro giornale,ho letto della possibilità di reinserire cartilagine sintetica. Cosa mi consigliate ?

nnanzitutto, la cartilagine sintetica non esiste.
Forse si riferisce all'innesto di cartilagine coltivata, previo prelievo dal suo ginocchio. Oppure innesto di cellule staminali, prelevate dal suo sangue.
Le lesioni cartilaginee del ginocchio sono una patologia di difficile soluzione terapeutica.
La terapia, soprattutto nel giovane, inizia con farmaci "condroprotettori" e/o "viscosupplementazione", con infiltrazioni, che lei ha già fatto senza successo. Molto utile è lo studio della postura per correggere difetti posturale che mandano in sovraccarico la parte malata.
L'innesto (il trapianto è di un organo vascolarizzato) di cartilagine clonata dalle proprie cellule non ha dato i risultati sperati. Quello che si forma non è la cartilagine originaria ma una membrana fibrosa più o meno robusta. Però, l'aspettano due interventi, mobilizzazione precoce, carico dopo 40 giorni. Stessa membrana si forma con le "microfratture", cioè perforando la zona sofferente, con tecnica artroscopica, si stimola una cicatrizzazione (non la ricrescita della cartilagine). Un solo intervento, in artroscopia, mobilizzazione precoce, carico parziale per 40 giorni.
Migliori risultati li ha dati la "mosaicoplastica". Il prelievo di una pasticca di cartilagine ed osso da zone non utilizzate del ginocchio e l'innesto nel sito danneggiato. Eseguibile in artroscopia con un unico intervento, hanno l'inconveniente di poter coprire una piccola superficie lesionata, non superiore ai 2/3 cmq. Il recupero è rapido, il carico totale dopo un mese. Recentemente, sono stati proposti innesti di preparati osteocartilaginei "artificiali", dalle prospettive interessanti, ma ancora sperimentali. Così come sperimentale è l'innesto di cellule "staminali". Il tempo dirà se questi tentativi saranno coronati da successo. Per ora, tolgono il dolore per qualche tempo. In considerazione della sua età, mi piacerebbe visitarla e vedere le radiografie, perché ipotizzo un'artrosi parziale, compartimentale, che meriterebbe una protesi piccola e meno invasiva, di certo risolutiva, in mani esperte,anche per decenni.

Scoliosi

Per scoliosi si intende la deviazione laterale della colonna vertebrale, da non confondere con le curve naturali sul piano antero-posteriore del rachide (lordosi e cifosi) che, a loro volta, possono essere patologiche se accentuate.

La scoliosi può essere strutturata, con rotazione delle vertebre, e non strutturata (la curva è elastica e scompare durante i movimenti di inclinazione laterale). Può localizzarsi a qualsiasi livello della colonna vertebrale: cervicale, dorsale o lombare.

Le scolisi non strutturate sono di origine: posturale (secondarie a dismetria);
quelle transitoriamente strutturate: da lombosciatalgia infiammatoria;
quelle strutturate, la maggior parte sono idiopatiche e congenite. Possono anche aver origine da disturbi neuromuscolari, neuro-fibromatosi, patologie connettivali, traumi, alterazioni metaboliche, osteocondrodistrofie, tumori e spondilolistesi.
Le scoliosi idiopatiche (da causa sconosciuta) sono le forme più frequenti. La loro diffusione si colloca tra il 2 e il 5 per mille, le donne sono colpite in un rapporto 8:1 rispetto ai maschi. Le cause ipotizzate sono numerose, le più probabili fanno riferimento:
- al sesso (le donne ne sono più colpite);
- alla famiglia (numerosi casi di sorelle o consanguinei con scoliosi idiopatiche);
- al periodo della pubertà;
- a fattori legati alle strutture sensitive in particolare ai recettori propriocettivi, soprattutto, ai centri e nuclei vestibolari la cui lesione influenzerebbe la postura.
La scoliosi prima dell' adolescenza è quasi sempre asintomatica. I segni che richiamano l' attenzione dei familiari di un bambino che presenta una scoliosi iniziale e che li spingono a consultare un medico sono: il dislivello delle spalle, la maggiore prominenza di una scapola, la diversa prominenza dei seni nelle bambine, il dislivello delle anche. Quando un paziente con scoliosi si sottopone per la prima volta a visita medica, bisogna valutare attentamente le deformità sia per poter effettuare una diagnosi esatta sia per dare un giudizio prognostico. Lo studio della evolutività dell' esame guiderà la terapia. Devono essere raccolti i dati personali su eventuali precedenti malattie o interventi chirurgici. L'esame obiettivo si effettua facendo spogliare il paziente, si misura l' altezza del paziente sia in piedi sia seduto. Nell'esame delle deformità vertebrale si valuta il livello delle spalle, la prominenza delle costole e delle scapole, l'orientamento della pelvi e la possibile prominenza di uno dei due fianchi. Il quadro di mobilità del rachide in flessione, estensione e inclinazione laterale, dà un'idea della elasticità della colonna vertebrale, fornisce indicazioni sul grado di maturità ossea, che è di grande importanza ai fini terapeutici.
Le informazioni radiologiche fondamentali si ottengono con una radiografia antero-posteriore del rachide in toto incluse le creste iliache. L'elasticità della colonna vertebrale nella scoliosi si può misurare con la prova di inclinazione in modo da poter differenziare le curve primarie dalle curve di compenso (queste scompaiono nel banding test). La radiografia in proiezione laterale permette di studiare le variazioni delle curve fisiologiche sul piano antero-posteriore. La proiezione laterale della colonna lombo-sacrale permette di diagnosticare l'esistenza di difetti congeniti nell'arco posteriore delle ultime vertebre lombari, cioè una spondilolisi o una spondilolistesi. Una volta eseguite le radiografie necessarie in ciascun caso particolare, si deve esaminare: l'eziologia delle curve, tipo di curva, l'entità della deviazione angolare (metodo di Cobb), la rotazione vertebrale, la maturità scheletrica (gradazione Risser).
L'obiettivo della terapia della scoliosi è quello di prevenire l'evoluzione delle deformità. La scoliosi strutturata è sempre evolutiva durante gli anni di sviluppo osseo, specie nel periodo pre-puberale. Il trattamento va scelto in base alla: entità della deviazione angolare (gradi di Cobb):
I grado: meno di 25° (trattamento fisico e riabilitazione).
II grado: tra 25 e 40° (trattamento con corsetti più o meno rigidi e riabilitazione).
III grado: da 45° in su (trattamento chirurgico).
E’ necessario iniziare precocemente il trattamento fisioterapico con periodici controlli radiografici e ambulatoriali dallo specialista ortopedico.
Per quanto riguarda la riabilitazione vanno ricordati i principi fondamentali della rieducazione motoria della scoliosi:
- iniziare con il riequilibrio delle asimmetrie globali corporee;
- mobilizzare le regioni vertebrali troppo rigide con particolare riguardo per la curva primaria;
- irrigidire le curve vertebrali mobili soprattutto le curve secondarie;
- trattare sempre le asimmetrie del bacino.
La scoliosi non guarisce, si può rallentare il suo peggioramento che perdura, nel tempo, anche dopo la chiusura delle cartilagini di accrescimento.

Talloni

Gentile Redazione,
ho 59 anni e sono in pensione da circa un anno.
Prima svolgevo attività manageriali nel campo del personale e trascorrevo molte ore della giornata alla guida della mia vettura (andata e ritorno da casa al posto di lavoro).
Sono piuttosto robusto (110 Kg.) e sono alto 1.90 cm.
Nel complesso sto abbastanza bene e sto intraprendendo una dieta ipocalorica per potermi muovere con più scioltezza e riportare nella norma la mia pressione arteriosa leggermente alterata.
Vi scrivo perchè da più di un anno sono in cura per patologie riguardanti entrambi i miei talloni.
Accuso forti dolori ad entrambi, talvolta in contemporanea, talvolta singolarmente, con preferenza ultimamente per il piede destro.
Ho fatto una visita presso uno specialista di ortopedia e traumatologia che mi ha diagnosticato una tallodinite bilaterale con "flubalgia" e talvolta "crenalgia" dx e "gonalgia mediale" sx, termini che mi sono un po' oscuri.
Da una RMN sono stati rilevati esiti di frattura al navicolare al piede sinistro ed artrosi dell'astragalo e navicolare.
Mi è stato consigliato di eseguire un esame baropodometrico per il confezionamento di plantari con sostegno della volta mediale longitudinale e correttivi della pronazione più "appoggio morbido calcaneale" con fovea centrale. Mi è stato inoltre prescritto un ciclo di onde d'urto più un ciclo di tense, nonchè applicazioni d'argilla.
Ho eseguito puntualmente tutto quanto prescrittomi. Dopo un periodo di lieve miglioramento, forse dovuto anche ad una cura di capsule di Lyrica 75, prescrittami dal reumatologo per una diagnosi di poliartromialgia, i dolori ai piedi sono tornati alla grande, soprattutto nell'alzarsi da una posizione seduta e nel deambulare.
Alla mia età mi sento in forze, vorrei fare camminate ed un po' di attività fisica, ma questi dolori me lo impediscono, invalidandomi notevolmente.
Se avete qualche idea migliore ed eventualmente a chi rivolgersi ( medici podologi veramente in gamba) per migliorare la situazione ve ne sarei grato.
Ringraziando porgo distinti saluti.
Giorgio



Il termine tallonite viene comunemente utilizzato per descrivere una condizione dolorosa del tallone. Nel linguaggio clinico si preferisce invece parlare di dolore calcaneare o di tallodinia.
Le cause alla base di tale sofferenza sono molteplici. All’origine della sintomatologia dolorosa calcaneare possono infatti esserci patologie traumatiche, metaboliche, neurologiche e congenite che a loro volta possono colpire le parti molli (tendiniti, borsiti, infiammazioni tendinee, fasciti) o quelle ossee (fratture da stress, spina calcaneale, artrosi astragalo calcaneare, tumori). Anche semplici alterazioni posturali possono modificare l'assetto podalico e la distribuzione del carico su questa zona determinando la comparsa di tallodinie. Le cause: obesità/sovrappeso; artrosi e patologie reumatiche, alterazioni posturali primarie o secondarie, calzature non idonee (sportive, tacchi alti, scarpe anti infortunistiche), attività sportiva, malattie metaboliche (gotta) e reumatiche (spondilite anchilosante, artrite reumatoide, condrocalcinosi, psoriasi ecc.). La terapia si basa innanzitutto sul riposo. Fortunatamente le talloniti comuni guariscono nel giro di pochi giorni (1-3 settimane a seconda del tipo e dell'entità del problema) salvo alcune forme croniche che possono richiedere tempi di guarigione molto più lunghi. Si consiglia pertanto di sospendere l'attività motoria ai primi sintomi dolorosi almeno fino a quando non si sarà ripristinata la normale funzionalità del retropiede. Si consiglia inoltre di applicare del ghiaccio sulla zona dolente nella fase acuta del trauma. Inutile e pericoloso continuare gli allenamenti tentando di sopprimere il dolore con antidolorifici ed antinfiammatori. Esercizi di stretching della fascia plantare, del polpaccio e del tendine di achille sono utili soprattutto in caso di fascite plantare. In molti casi si consiglia l'associazione con terapie fisiche (ultrasuoni, crioultrasuoni, laserterapia, ionoferesi, massaggi). Nel periodo riabilitativo possono rivelarsi molto utili esercizi propriocettivi e di sensibilizzazione plantare. Se tutto questo non funziona, il ricorso alla chirurgia è possibile e consigliato.

Dolore al ginocchio che non passa

Mio marito, anni 63, accusa un forte dolore al ginocchio destro da circa tre mesi, dolore insorto improvvisamente. Ha eseguito una TAC il cui referto ha evidenziato delle deformazioni artrosiche' peraltro a livello iniziale e il menisco mediale assottigliato e disomogeneo per processo a carattere degeneraivo.Sostanziamente il resto è nei limiti di norma ad eccezione di "falda fluida di versamento liquido disposta sul versante articolare esterno a distendere il legamento mediale che può assumere caratteri di pseudocisti meniscale....." e " raccolta fluida di tipo infiammatorio che si dispone a livello intercondiloideo anteriore con interessamento della borsa adiposa di Hoffa. Desiderei sapere se tale situazione può giustificare la durata del dolore che si è solo leggermente attenuato e costringe ancora mio marito a camminare zoppicando. L'ortopedico ha prescritto come unica cura delle infiltrazioni (cinque ) di acido ialuronico, ne ha già fatte quattro, ma senza grandi risultati: non riesce a scendere le scale e a condurre la sua solita vita, preciso che prima di questo problema mio marito era una persona piuttosto attiva. Può fare altre cure? Si tratta solo di avere pazienza e aspettare? In attesa di una vostra cordiale risposta, ringrazio.
Mariangela


Le lesioni cartilaginee del ginocchio sono una patologia di difficile soluzione terapeutica.
La terapia, soprattutto nel giovane, inizia con farmaci "condroprotettori" e/o "viscosupplementazione", con infiltrazioni, che lei ha già fatto senza successo. Molto utile è lo studio della postura per correggere difetti posturale che mandano in sovraccarico la parte malata.
Anche alcune infiltrazioni di cortisone possono risolvere il quadro infiammatorio.
Prima di passare alla chirurgia, occorrono RX degli arti inferiori in carico, con assiali di rotula ed una RMN del ginocchio, più specifica della TAC.
Qualora ci fosse una sofferenza cartilaginea importante e misconosciuta alla TAC, l’innesto (il trapianto è di un organo vascolarizzato) di cartilagine clonata dalle proprie cellule non ha dato i risultati sperati. Quello che si forma non è la cartilagine originaria ma una membrana fibrosa più o meno robusta. Però, l'aspettano due interventi, mobilizzazione precoce, carico dopo 40 giorni.
Stessa membrana si forma con le “microfratture”, cioè perforando la zona sofferente, con tecnica artroscopica, si stimola una cicatrizzazione (non la ricrescita della cartilagine). Un solo intervento, in artroscopia, mobilizzazione precoce, carico parziale per 40 giorni.
Migliori risultati li ha dati la “mosaicoplastica”. Il prelievo di una pasticca di cartilagine ed osso da zone non utilizzate del ginocchio e l'innesto nel sito danneggiato. Eseguibile in artroscopia con un unico intervento, hanno l’inconveniente di poter coprire una piccola superficie lesionata, non superiore ai 2/3 cmq. Il recupero è rapido, il carico totale dopo un mese. Recentemente, sono stati proposti innesti di preparati osteocartilaginei “artificiali”, dalle prospettive interessanti, ma ancora sperimentali. Così come sperimentale è l'innesto di cellule "staminali". Il tempo dirà se questi tentativi saranno coronati da successo. Per ora, tolgono il dolore per qualche tempo. In considerazione della sua età, mi piacerebbe visitarla e vedere la documentazione radiografica, prima di sbilanciarmi nella terapia più adeguata.

Ozonoterapia

EGR. DOTTORE,

SOFFRO DI TERRIBILE CERVICALGIA CHE NON E' MIGLIORATA DOPO TRATTAMENTI STANDARD CICLI DI LASERTERAPIA ,MASSAGGI E MESOTERAPIA.
NON POSSO ASSUMERE PER PROBLEMI GASTRICI ANTIDOLORIFICI.
UN ORTOPEDICO MI HA CONSIGLIATO LA OZONOTERAPIA (10/15 SEDUTE) DA FARE PRIVATAMENTE PRESSO UN SUO STUDIO.
IL SSN NON INTERVIENTE IN TALI COSTI.
ORA ESSENDO DIGIUNO DI TALE TECNICA CHIEDO SE VALE LA PENA PROCEDERE IN TAL SENSO, EVENTUALI RISCHI CONNESSI .
A PARTE IL CAMPO SPORTIVO MI E' STATO RIFERITO CHE TALE PRATICA E' ANCORA CONTROVERSA IN MERITO AI BENEFICI CHE
SE NE POSSONO OTTENERE , A PARTE I COSTI.
POTREI AVERE QUALCHE UTILE CONSIGLIO IN PROPOSITO. ?
GRAZIE


Intanto, bisogna dire che il SSN interviene, pagando un piccolo ticket. Da noi, in Lombardia, è così.
E’ vero l’ossigeno-ozono terapia è controversa. Noi la applichiamo da più di 10 anni, soprattutto nelle ernie discali cervicali o lombari.
Nella nostra esperienza, quelle più voluminose, contenute od espulse, vanno meglio, perché favoriscono il contatto con la miscela gassosa ed hanno determinato la maggiore incidenza di risultati positivi.
Cio’ e’ dovuto, a nostro parere, agli effetti indotti dalla miscela di O2-O3 sui processi di neovascolarizzazione, che sono alla base del tessuto di granulazione, che circonda il nucleo polposo degenerato ed espulso. Oltre all’effetto di disidratazione, legato al collasso della struttura dei glucosoaminoglicani.
Tali effetti della miscela gassosa, uniti a quelli antiflogistici nei confronti della radice nervosa, delle strutture legamentose , muscolo tendinee ed articolari posteriori, accelerano significativamente quei processi di guarigione della cosiddetta “patologia discale lombare”, descritti come spontanei in letteratura.
Le principali caratteristiche di questo trattamento sono:
1. innocuità assoluta (si tratta di Ossigeno e quindi non si può neanche essere allergici)
2. mancanza di controindicazioni
4. alta percentuale delle guarigioni (intorno al 90% dei casi)
5. nessuna necessità di riposo (anzi, il movimento agevola la guarigione), noi consigliamo ginnastica dolce (Pancafit o Pilates)
6. nessuna necessità di presidi ortopedici (collari, busti, corsetti o altro)
7. recidive basse

Spalla Dx

Nel luglio scorso ho fatto una RM per problemi alla spalla dx di cui all'allegato referto.
Nel frattempo la situazione mostra un lieve ma costante peggioramento. Ho fatto una fisioterapia di base, quella da SSN 10 sedute di elettrostimolazione e chinesi ma non avendo avuto sensazioni particolarmente positive positive non ho continuato, il consiglio del fisioterapista mi è sembrato interessato.
Mi chiedo in questi casi la soluzione, anche in prospettiva - ho 49 anni - è l'interveto, una fisioterapia specialistica tipo tekar o insistere con la fisioterapia di base?

Molte grazie

Angelo


Due problemini: un’artrosi dell’acromion claveare ed una sindrome da conflitto sub acromiale.(definizione tecnica della
vecchia "periartrite" della spalla, a volte calcifica)
Il dolore è dato dalla fase acuta infiammatoria che porta, spesso, alla cronicizzazione della
patologia, con interessamento della cuffia dei rotatori e sua possibile rottura.
La terapia è incruenta, nella prima fase, e consiste in un ciclo di
infiltrazioni di corticosteroidi e anestetico nella regione dell’articolazione acromion-claveare e sub acromiale
(al massimo tre), seguite da fisioterapia assistita.
Qualora la sintomatologia non cessasse, consiglierei un ciclo di onde
d'urto (al massimo 4) e, se fosse proprio incoercibile, un'artroscopia chirurgica
per decomprimere lo spazio, con una acromion plastica e sezione del
legamento coraco acromiale..

Stenosi del canale

Il sottoscritto Cacopardo Giancarlo chiede cortesemente di sapere qualcosa di sicuro sulla stenosi della colonna vertebrale: se ci sono cure mediche, se ci sono cure fisioterapiche, se è possibile essere operato, se è possibile conoscere il nome di qualche specialista.

Allego la diagnosi della risonanza magnetica.

Risonanza magnetica: Stenosi congenita del canale vertebrale aggravata da sovrapposte alterazioni a carattere artrosico. Segni di sofferenza discale all’interspazio L5 S1 con alterazione del segnale delle limitanti in rapporto a spondilosi reattiva.

Alterazioni artrosiche di discreta entità a sede discosomatica ed interapofisaria con ipertrofia delle faccette articolari.

Discrete componenti protrusive discali a più livelli con impronta sul sacco durale e parziale impegno delle regioni foraminali con reperto più evidente sul lato destro specie agli interspazi L3 L4 ed L4 L5.

Ernie intraspongiose al tratto di passaggio di dorso lombare.

Giancarlo - Macerata



Per stenosi del canale vertebrale si intende un restringimento dello spazio dove alloggia il midollo spinale, per condizioni congenite od acquisite. Da ciò scaturiscono quei sintomi dolorosi, spesso confusi con altre patologie. I sintomi sono rappresentati, soprattutto, da lombalgia e da dolori irradiati (radicolari). Vi è, però, un sintomo caratteristico delle stenosi del canale vertebrale lombare, denominato Pseudo-claudicatio Spinalis. Si tratta dell'aumento del dolore irradiato agli arti inferiori, dopo che il soggetto abbia iniziato la deambulazione; tale dolore costringe il soggetto ad arrestarsi per trovare sollievo. La denominazione (Claudicatio) viene mutuata da un analogo sintomo causato da un'insufficienza dell'irrorazione arteriosa agli arti inferiori, in casi di patologie delle arterie, che veicolano il sangue agli arti inferiori. La diagnosi di stenosi del canale vertebrale lombare è essenzialmente clinica; i sintomi suddescritti infatti debbono indirizzare il medico curante sulla strada di una corretta diagnosi. E' spesso necessario confermare la diagnosi clinica tramite approfondimenti diagnostici strumentali; tra essi, oltre all'indagine radiografica (primo esame che può fornire però solamente segni indiretti, sebbene importanti), vanno annoverati gli esami di cosiddetta Diagnostica per Immagini (mielografia; TAC; RMN) e gli accertamenti neurofisiologici (ElettroMioGrafia). Il trattamento può essere conservativo o chirurgico. Prevede la somministrazione di farmaci antinfiammatori (steroidei o non steroidei). In caso di sciatica con canale stretto, il trattamento comporta riposo a letto completo per quindici giorni, seguito da un busto ortopedico e da opportuna rieducazione. Qualora i trattamento conservativi non diano i frutti sperati (o li ottengano solo per periodi limitati di tempo) è necessario porre in campo l'opzione chirurgica. Scopo del trattamento chirurgico delle stenosi del canale vertebrale lombare è la decompressione delle strutture nervose (radici spinali). Per raggiungere codesto obiettivo è indicata una aggressione chirurgica posteriore ed una rimozione (mirata e mai troppo estesa) delle strutture responsabili - in seguito alla loro ipertrofia od alla loro alterazione congenita - del fenomeno compressivo. Numerosi ospedali, in Italia, sono in grado di trattare questa patologia, soprattutto, quelli con un centro di chirurgia vertebrale.

Sindrome del tunnel tarsale

Sono un vostro lettore, da qualche mese mi è stato diagnosticato a un piede sindrome del tunnel tarsale, un portatore di sperone calcaneare. Ho fatto un ciclo di laserterapia a tibio tarsica e calcagno, uso plantari su misura ordinati dal medico, ma non ho avuto benefici. Io vorrei operarmi ma c’è chi mi sconsiglia. Vorrei un vostro parere.

Sono un ottantenne con pacemaker e ***boi pos*** coronarica in data 1994. Io fino ad ora ho sempre fatto vita lavorativa.

Che mi consigliate?

Giuliano Barrocca - Piumazzo (Modena)

Se mi darete risposta gradirei solo il nome.



Il Tunnel Tarsale è situato nella parte mediale della caviglia ed è un tunnel osteo-fobroso, dove decorrono il nervo, i vasi tibiali posteriore ed i tendini dei muscoli tibiale posteriore, flessore lungo delle dita e flessore lungo dell’alluce. La compressione del nervo tibiale posteriore all’interno di questo canale osteo-fibroso è responsabile della Sindrome del Tunnel Tarsale. I sintomi sono caratterizzati da dolore, formicolii, perdita di sensibilità alle dita ed alla superficie plantare del piede. Può essere inoltre presente ipotrofia ed ipostenia ai muscoli intrinseci del piede, oltre che a dolore sulla parte mediale della caviglia evocato da una compressione a tale livello. La tipica sintomatologia clinica associata ad un’elettromiografia (EMG), sono sufficienti per diagnosticare la Sindrome del Tunnel Tarsale. Inizialmente, si propende per una terapia di tipo conservativo. Qualora fallisca il trattamento antalgico e la sintomatologia peggiori, progressivamente, si ricorre all’intervento chirurgico. L’operazione consiste nella sezione completa del legamento che avvolge i tendini flessori, che chiude in alto la doccia ossea del tunnel tarsale.

Trocanterite o borsite dell'anca

Ho 68 anni e nell’ottobre 2009 ho effettuato una Rm alla colonna lombo-sacrale e articolazioni coxo-femorali dalla quale è risultata una borsite bilaterale cronicizzata che mi crea dolore e comunque non mi permette di camminare più di cinque minuti. Sono andata da diversi medici ma i risultati non si sono visti. Gradirei, se possibile, avere delle indicazioni da uno dei vs. professori se esistono cure specifiche per questa malattia o addirittura un intervento chirurgico.

Rm colonna lombo-sacrale e articolazioni coxo-femorali

L’esame Rm del rachide lombo-sacrale ha messo in evidenza una condizione spondilo-disco-artrosica diffusa del rachide lombare con presenza di protrusione discale mediana e laterale sinistra L1-L2 e di protrusione discale ad ampio raggio L2-L3. Altre due protusioni di entit- inferiore, ad ampio raggio, si rilevano a livello degli spazi L2-L4 ed L4-L5. In corrispondenza dello spazio L5-S1 è presente una protrusione discale mediana e laterale sinistra con riduzione di ampiezza del forame di coniugazione. Ipertrofia delle faccette articolari a livello L4-L5 con riduzione in ampiezza bilaterale dei formai (maggiore a sinistra). Canale vertebrale di ampiezza inferiore alla norma nel diametro latero-laterale (inferiore 1 cm) a livello del tratto L5-S1. Riduzione della lordosi lombare. Cono midollare normoposizionato.

A livello del bacino non si rilevano alterazioni di morfologia e/o segnale delle teste femorali; nella capsula coxo-femorale sinistra si apprezza una minima raccolta fluida che non distende i recessi articolari. Bilateralmente si osserva invece una flogosi cronicizzata di grado severo delle borse peritrocanteriche che a destra causa anche un coinvolgimento flogistico dei tessuti adiposi situati profondamente al ms. tensore della fascia lata. Si rileva inoltre una tendinopatia inserzione bilaterale del muscolo gluteo medio, più evidente a destra dove si associa una modesta flogosi spongiosa. Nulla da rilevare nello scavo pelvico.

Paola



La trocanterite (o borsite trocanterica) è un'infiammazione dei tendini che si inseriscono sul grande trocantere e della borsa sierosa che li ricopre. La trocanterite è un disturbo comune, che colpisce in prevalenza il sesso femminile. Nei soggetti sportivi, è possibile che i microtraumi ripetuti nei movimenti di flessoestensione dell'anca portino all'infiammazione della borsa e dei tendini sottostanti, a volte interessati da vere e proprie rotture. Meno chiara è l'origine della malattia nei soggetti sedentari. Sembra che un deficit posturale, anche lontano, magari una malformazione dei piedi, possa portare ad un’eccessiva tensione della fascia lata, che scivola sul grande trocantere grazie all'interposizione "lubrificante" della borsa sierosa. Questo porta ad un'irritazione meccanica per attrito nei movimenti. La trocanterite si manifesta con dolore sulla sporgenza del grande trocantere, e quindi sul fianco. Questa localizzazione permette di distinguerla chiaramente dal dolore articolare dell'anca, che viene avvertito prevalentemente all'inguine e al gluteo. Dal momento che la trocanterite è un'infiammazione dei tessuti molli (borsa e tendini), l'ecografia è l'esame di partenza. Essa permette ad un ecografo esperto di riconoscere il versamento liquido all'interno della borsa trocanterica, l'edema circostante, le microcalcificazioni all'inserzione dei tendini (entesite calcifica). Tutto questo permette di fare diagnosi di certezza, se in associazione con un quadro clinico tipico. Come per tutte le malattie infiammatorie, la prima terapia è rappresentata dal riposo, dall'applicazione (a periodi alterni) della borsa del ghiaccio, dall'assunzione di farmaci antiinfiammatori. Se così non si ottiene la remissione duratura del disturbo, è opportuno ricorrere ad un trattamento infiltrativo: 1-2 infiltrazioni intra-bursali di un preparato cortisonico permettono di disinfiammare l'area e di eliminare i sintomi in pochi giorni. Importante è diagnosticare e correggere in deficit posturale, magari con un plantare. Nelle forme cronicizzate, ribelli ai trattamenti sopra ricordati, solo l'associazione di terapie fisiche locali (onde d'urto a bassa potenza, ultrasuoni, radarterapia, laserterapia) e di programmi riabilitativi specifici permette di ottenere la graduale scomparsa dei disturbi. Eccezionale è il ricorso all'intervento chirurgico di release della fascia lata, che può essere eseguito con una breve incisione in corrispondenza del grande trocantere o con tecnica endoscopica.

Rolfing

l Rolfing nasce nel 1940 negli Stati Uniti da una idea della Dott.ssa Ida Rolf, e da allora si è sviluppata e preso piede come approccio solistico alla cura della persona affette da alcune problematiche osteomuscolari. Trova infatti indicazione nel trattamento del mal di schiena, periartriti scapolo-omerali e algie articolari non traumatiche, ma l’importanza di tale tecnica risiede nella sua utile applicazione nei trattamenti preventivi per migliorare il proprio stato di benessere e, quindi, di salute.

Il rolfing si basa, in un certo senso, nell’armonizzare le strutture muscolo-scheletriche in relazione alla forza di gravità. Il corpo viene visto come un tutt’uno, “privo di cuciture” dice la Rolf, dove cioè si instaurano sinergismi tra le diverse parti del corpo così da creare un tutt’uno che interagisce con l’ambiente esterno, in continuo mutamento. La sinergia di struttura e funzione è garantita dal tessuto connettivo, un tessuto che ricopre ogni parte del corpo.

Il corpo si adatta all’ambiente, continuamente, adattandosi e modificando la forma, così da rimanere in salute. La qualità dell’adattamento, però, determina in parte il nostro livello di salute: più l’adattamento è armonico, maggiore è il benessere.

Secondo la Rolf, quindi, il corpo deve essere armoniosamente bilanciato, non solo rispetto a se stessi, ma anche rispetto al suo ambiente. Il rolfing quindi si basa sulla armonizzazione della postura e del movimento, applicando un tocco preciso, aiuta a liberare il corpo dalle “restrizioni” del tessuto connettivo, permettendo al corpo di riprogrammare una postura più armoniosa. Questo vuol indicare che il rolfing non si limita a trattare il sintomo locale, ma riequilibra anche disturbi più generali.

Altro principio su cui si basa il rolfing è l’auto-percezione, così che anche al termine del trattamento il soggetto senta la necessità di correggere la propria postura e i propri movimenti. La miglior coordinazione e integrazione migliorano nel tempo così da aumentare la sensazione di benessere del soggetto.

Menisco

Dalla risonanza magnetica si evidenzia una microfrattura al menisco del
ginocchio sinistro; mi hanno sconsigliato l'operazione atteso che ho 71
anni.
La terapia consigliata è consistita in :
20 applicazioni di laserterapia;
20 di tensioterapia;
20 di radioterapia
Attualmente non ho gravi problemi nelle articolazioni del ginocchio.
Gradirei sapere se vi sono terapie non invasive per eliminare del tutto la
microfrattura.
Grazie
dr. Mario



Il più grande luogo comune è considerare i menischi , in vecchiaia, degenerati ed inutili. Invece, solo se esiste un grave processo artrosico compartimentale, si trovano rovinati, altrimenti sono belli e funzionali come in giovane età. Un altro errore è considerare la risonanza magnetica (RMN) il vangelo. C'è una percentuale discreta di immagini con falsi positivi e negativi. Solo se esiste una corrispondenza con i sintomi, ci avviciniamo alla diagnosi certa. Detto questo, una microfrattura del menisco è trascurabile, anche se non ripara da sola. Sono d'accordo nel rimandare l'intervento. Indagherei meglio la sintomatologia dolorosa. Magari uno studio della postura, esami di laboratorio per escludere un'infiammazione in corso, insomma, non mi soffermerei solo sul ginocchio. La terapia proposta può essere utile, anche se è sintomatica e non causale. Bisogna cercare la causa dei sintomi e cercare di rimuoverla, quando si può, senza bisturi.

Protesi d'anca

Ho 63 anni. Peso 72 Kg. per 1,73 mt. di altezza.
Mi sono sottoposto di recente ad una protesi d'anca sx con utilizzo di
Titanio/ceramica.
Prima dell'intervento praticavo ciclismo su strada in modo consistente
(circa 10.000 km. annui ).
Vi chiedo se proseguire in questa pratica dopo l'intervento, fatti
salvi tutti gli accorgimenti di
prudenza per evitare eventuali cadute, sia da evitare per non causare un
più rapido consumo
della protesi. In particolare l'utilizzo di rapporti di cambio
redditizi, ma impegnativi ( per esempio
50/16 in pianura o 39/26 in montagna ) con posizione sempre seduta e non
in piedi sui pedali,
comportano un aggravio di peso sulla protesi ?.
Vi chiedo inoltre se saltuarie escursioni a rifugi su comodi sentieri di
montagna sia un'attività
sportiva da evitare, sempre nell'ottica del consumo della protesi.
Vi ringrazio anticipatamente e Vi porgo i miei più cordiali saluti.
Francesco - Nonantola (MO)


La protesi d'anca è formata da due parti: una per la sostituzione della testa del femore ed una per quella dell'acetabolo, ormai rovinati e senza cartilagine. Per fare questo, bisogna inserire uno stelo nel femore ed una coppa nell'acetabolo. Si possono cementare o meno. Se non sono cementate, la maggior parte, sono in titanio o una lega di titanio. Sullo stelo viene posta la testa della protesi, che può essere di diverso materiale, cromo-cobalto, ceramica, oxinium. Questa si articolerà con l'interno della coppa, che può essere in metallo, plastica (polietilene) o ceramica. Tutti questi accoppiamenti presentano pregi e difetti. L'accoppiamento ceramica-ceramica è l'ideale per l'assenza di usura e di attrito, uno tra i migliori, a patto di mettere bene le componenti protesiche, altrimenti si avvertirà un rumore fastidioso, quando si muove l'anca. E' un po' più delicato, bisogna evitare i salti e gli impatti forti, per non rompere la ceramica. Detto questo, una ripresa dell'attività sportiva, cosiddetta dolce, è consentita. La bicicletta è fra queste, senza particolari limiti, così come le passeggiate in montagna, il nuoto, la palestra e lo sci, soprattutto il fondo.

Menisco Degenerato

Ho 63 anni sono pensionato con l'hobby del ballo liscio e della camminata giornaliera.La prego di valutare la mia T.A.C. al ginocchio destro e di consigliarmi sul da fare. Io sarei un pò perplesso ad affrontare un intervento ma ho anche il timore, che il mio dottore generico mi ha anche prospettato, di rimanere bloccato da un improvviso cedimento dell'arto.

Referto T.A.C.
"L'esame T.C. è stato eseguito attraverso scansioni assiali e ricostrzioni multiplanari.Aspetto disomogeneo del corno posteriore del menisco mediale che appare assottigliato, su base degenerativa, con tendenza alla sub-lissazione interna.Nella norma menisco esterno,i legamenti crociati e collaterali.Modico versamento articolare.
Iperpressione esterna di rotula con tendenza alla sub-lussazione esterna.

Ringrazio anticipatamente
Cordiali saluti
Fernando


Innanzitutto, non è bene fare mai diagnosi e proporre terapie, in base al referto di una TAC. Bisogna operare i pazienti e non le lastre.
Troppi falsi positivi e negativi da artefatti e letture improprie. Inoltre, occorre una visita accurata per la valutazione del danno e della patologia.
Detto questo, mi sembra che il problema sia abbastanza risolvibile. Un menisco “degenerato”, dolente, si risolve con un intervento ambulatoriale di pulizia articolare con tecnica artroscopica.
Ricovero giornaliero ed anestesia loco-regionale dell’arto inferiore. A meno che la sintomatologia non sia legata al mal scorrimento dell’apparato estensore, congenito. L’eccessiva pressione rotulea, sul femore, può causare una precoce usura della cartilagine articolare e, quindi, un’artrosi precoce di quel comparto. Cambia la diagnosi e cambia la terapia. In entrambi i casi, una volta risolto il problema dolore, non solo si può tornare a ballare, ma anche a praticare una discreta attività sportiva.

Alluce Rigido

Salve, sono una donna di 55 anni e soffro da tempo di dolori alle articolazioni del primo dito del piede dx.
Ho effettuato due esami radiologici ( "esostosi della testa del 1° metatarso non evidenti speroni calcaneari," nel 2006, "segni di artrosi alla metatarso-falangea del 1° raggio, non calcificazioni nei tessuti molli periarticolari ", nel 2009.) e consultato diversi specialisti ciascuno con una diversa opinione.
Inutili le cure antinfiammatorie o le applicazioni magnetoterapeutiche; permane quel piccolo spessore cutaneo, arrossato, compreso il dolore che pure sembra non essere aumentato.
Il medico di famiglia mi ha suggerito una cura a base di glucosamina solfato per due mesi per curare la forma "artrosica."
Vorrei sapere se esiste una soluzione al mio problema e a chi potrei rivolgermi.Ho le idee confuse.
Grazie.
P.S. la prima volta che ho sentito dolore al dito è stato in seguito alla esposizione di aria fredda proveniente da un condizionatore , nell'ambiente di lavoro.

Marina C. (Bari)


L’alluce rigido é una patologia della prima articolazione metatarso-falangea, caratterizzata da dolore nel movimento, formazione di esuberanza ossea (osteofita) e limitazione della flessione dorsale dell’alluce.
L’alluce rigido è ancor piú limitante, a causa del dolore che vi si associa, dell’alluce valgo.
I fattori predisponenti per l’alluce rigido dell’adolescente comprendono la testa metatarsale congenitamente appiattita o squadrata, l’osteocondrite e, come nella forma dell’adulto, un trauma acuto o cronico. Infine, possono contribuire allo sviluppo di un alluce rigido un processo artrosico sistemico o un’artrite settica.
Solitamente non viene alterato l’allineamento. In genere si ha una proliferazione ossea generalizzata intorno all’articolazione, soprattutto a livello della superficie dorso-laterale della testa metatarsale. Con la progressione del processo patologico, questo fronte osseo si estende dorsalmente e lateralmente. Spesso si forma un osteofita dorsale sulla base della falange prossimale. Di conseguenza il movimento dell’articolazione metatarso-falangea dell’alluce è limitato.
I pazienti descrivono spesso un inizio insidioso con dolore correlato all’attività in corrispondenza della prima articolazione metatarso-falangea; le normali calzature non risultano piú comode a causa dell’aumentata massa dovuta allo sviluppo dell’osteofita dorsale. Si modifica il passo poiché le forze di carico si spostano lateralmente per compensare la limitazione della dorsiflessione dell’articolazione metatarso-falangea.
I segni clinici variano in base alla gravità del processo patologico.
Le radiografie mostrano tipicamente le classiche alterazioni degenerative a carico della prima articolazione metatarso-falangea.
Nelle fasi avanzate della malattia sono necessarie modifiche delle calzature.
L’aumento della profondità della punta della calzatura puó contenere l’articolazione aumentata di volume. L’aumento della rigidità della suola può portare alla diminuzione dei sintomi. Sono disponibili scarpe con suola ed inserti rigidi. Puó essere di aiuto una lamina di alluminio/acciaio leggero o di fibre di carbonio. Quando un paziente usa una scarpa più rigida, si consiglia una suola con fondo a culla o una barra metatarsale per favorire lo spostamento del peso. Nel caso in cui il trattamento incruento fosse inefficace, deve essere preso in considerazione il trattamento chirurgico. Le soluzioni che vengono proposte attualmente sono: l’artrodesi e l’artroprotesi. L’artrodesi è la fusione dell’osso metatarsale con la prima falange. L’intervento è definitivo per diminuire il dolore nel trattamento chirurgico dell’alluce rigido. Lo svantaggio é dato dalla perdita irreversibile del movimento dell’alluce. L’artroprotesi è la sostituzione dell’articolazione danneggiata con una protesi artificiale, analogamente a quanto avviene per altre articolazioni (anca, ginocchio, caviglia, spalla, ecc) si propone come obiettivo di eliminare o ridurre il dolore consentendo una certa mobilità attiva e passiva all’articolazione dell’alluce. Non ci si deve aspettare un’articolarità completa in quanto la rigidità dei tessuti molli intorno continua a limitare in qualche modo anche dopo l’intervento la mobilità del dito, però quanto sufficiente a calzare scarpe normali con diverse altezze di tacco ed effettuare liberamente la fase di spinta del passo. Svantaggi: non è nota la longevità di questi impianti protesici, perché è in funzione dell’uso più o meno corretto che ne fa l’individuo nel tempo. Vantaggi: eliminazione o riduzione del dolore; mantenimento del movimento; dato importante: in caso di fallimento esiste la possibilità di percorrere altre soluzioni.

mercoledì 4 marzo 2009

EPIDUROSCOPIA PER ERNIE DISCALI

Mia figlia, anni 45, da tre anni soffre per ernie discali (III e IV - IV e V corpo vertebrale con compromissione sul sacco durale). Le ernie si sono manifestate dopo aver subito un tamponamento in auto. Ha fatto fisioterapia anche in piscina e, periodicamente ossigeno-ozonoterapia ma ora la situazione è peggiorata, il dolore è persistente e la gamba sinistra è dura e insensibile e si blocca dopo ore di lavoro.
Purtroppo mia figlia è allergica a tutti i fans ed ai fili di sutura per cui esita a sottoporsi ad un intervento chirurgico: sarebbe opportuno un intervento con il laser? (può causare la discite?). In quali casi è possibile un intervento di asportazione delle ernie discali in microscopia? Potreste segnalare in quali ospedali di Roma si effettuano i sopra citati interventi?
Lorenzina Viotto


Caso complesso sia per la patologia sia per le riferite allergie. Senza entrar nel merito, in considerazione della scarsa documentazione clinica, è utile informare che, oggi, esiste la possibilità di operare l’ernia discale lombare espulsa con tecniche mininvasive endoscopiche. Attraverso un’incisione tradizionale più piccola oppure, introducendo una canula dal coccige, per risalire nello spazio epidurale, fino a raggiungere la patologia ed asportarla o frantumarla (epiduroscopia). Il Laser funziona meglio con le protrusioni discali, per l’effetto di “nebulizzazione” del disco intervertebrale. L’indicazione della giusta terapia chirurgia necessita di maggiori informazioni riguardanti la morfologia delle ernie in discussione. Da noi ed in tutti gli ospedali di Roma con reparto di Ortopedia e Chirurgia Vertebrale è possibile il trattamento chirurgico con queste tecnologie.

Ginocchia che "scrocchiano"

Sono un ragazzo di 27 anni, da circa un paio di anni i miei ginocchi e quasi tutte le ossa scrocchiano, prima non mi davano fastidio ma adesso che faccio una vita più regolata mi accorgo che secondo me non è una cosa normale, premetto che cammino la mattina circa un'ora e a volte pure due e una volta a settimana gioco a calcio. L'altro giorno mentre camminavo ho avvertito un dolore all'interno del ginocchio vorrei sapere se è causata da questo rumore continuo che fanno i miei ginocchi ogni volta che li piego. Vi aggiungo che fin dalla nascita ho avuto carenza di calcio per quanto ho dei denti senza smalto che mi porto d'eredità perché anche mio padre ce l'ha come i miei. Da piccolo ho fatto una cura per il calcio sia con farmaci sia con l'alimentazione poi dopo aver compiuto 25 anni d'età mi è stata diagnosticata un'intolleranza al lattosio. Volevo sapere se è normale che i miei ginocchi devono scrocchiare o devo prendere precauzioni e se è dovuto alla mia carenza di calcio. Vi prego di volermi dare una delucidazione sull'argomento.
Domenico Olivieri


Non mi preoccuperei né dello “scrocchio”, né della carenza di calcio. Un rumore articolare può non avere una causa patologica, ma multifattoriale da deficit posturale. Uno studio della postura con esame baropodometrico e l’eventuale plantare correttivo, potrebbe risolvere il problema. La carenza di calcio colpisce le ossa in età evolutiva (rachitismo). A 25 anni, con una dieta bilanciata c’è tutto il fabbisogno di calcio che serve. Altra cosa se lo perde per malassorbimento ma allora bisogna trattare la patologia. E, comunque non è un problema delle cartilagini articolari. Invece, sarebbe meglio indagare il dolore mediale. In uno sportivo, la patologia più comune e il sovraccarico compartimentale da ricondurre al deficit posturale o su base traumatica. Una RMN di controllo dovrebbe chiarire il problema.

Spondilodiscoartrosi

Mio marito – 60 anni, in buona salute e con analisi tutte nella norma – da circa un anno lamenta un dolore muscolo-tensivo alla base posteriore del collo che non gli permette di tenere il collo perfettamente dritto e che a fatica riesce a rimettere nella giusta posizione, perché ha sensazione di “sentirsi tirare”. Abbiamo consultato diversi specialisti che non hanno prescritto cure particolare, a parte antinfiammatori, e consigliato solo ginnastica che, finora, non ha dato grandi risultati. Riesce a trovare giovamente solo tenendo una sciarpa intorno al collo che riesce a sorreggerlo e dà calore. Cosa consiglia di fare?
Allego: RX colonna cervicale e Rmn colonna cervical:

RX colonna cervicale 4 proiezioni: Rachide cervicale in asse con riduzione della normale lordosi e iniziale inversione della normale curvatura a livello di C3/C4. Marcate note di spondilosi si osservano a livello di C4/C5 e C6 con osteofiti del margine degli spigoli anteriori. Lo spazio intersomatico tra C5/C6 risulta ridotto di ampiezza.
Nelle proiezioni oblique si osserva bilateralmente una riduzione di ampiezza dei forami di coniugazione situati tra C5/C6

RMN colonna cervicale: Indagine eseguita con tecnica di acquisizione Spin-Echo, ad immagini T1, densità protonica e T2 dipendenti, secondo piani assiali, sagittali e coronali.
Ampia protusione mediana posteriore del disco intervertebrale compreso tra C3-C4, con segni di compressione radicolare ed associate note di disidratazione discale.
Protusione mediana posteriore dei dischi intervertebrali compresi tra C5-C6 e C6-C7.
Lievi e diffuse note di discopatia degenerativa su base artrosica. Manifestazioni spondilo-artrosiche diffuse, con irregolarità delle superfici articolari e piccole formazioni osteofitarie marginali. Canale vertebrale peraltro di normale ampiezza. Assenza di lesioni strutturali osseo focali con carattere evolutivo.
FRANCESCA PELLEGRINI



La spondilodiscoartrosi, parola difficile ma riassuntiva, è una delle patologie più frequenti della cosiddetta età matura.
E una degenerazione del disco intervertebrale, cuscinetto ammortizzatore, che porta a due fenomeni importanti: la fuoriuscita di materiale discale dalla sua sede nel canale vertebrale ed uno squilibrio meccanico, tra le due vertebre, che produce un sovraccarico delle articolazioni posteriori che vanno incontro ad artrosi e produzione di becchi osteofitici. Entrambi i fenomeni contribuiscono a far diventare lo spazio dove si trova il midollo spinale sempre più piccolo, stenotico. Le cause di questa patologia sono diverse. Al di là di un normale invecchiamento dei dischi e delle articolazioni, ci possono essere dei traumi violenti nel passato, oppure dei microtraumi ripetuti, oppure, più semplicemente, un deficit posturale che, dopo anni, arrivato allo scompenso, inizia a produrre dolore. Cause anche lontane di difetti dell’apparato locomotore, per esempio un piede piato valgo, oppure un ginocchio varo, una dismetria degli arti inferiori, ecc., possono portare, nel tempo ad uno sbilancio meccanico posturale della colonna vertebrale con livellamento del bacino, scoliosi di compenso e crisi delle articolazioni posteriori. Bene, che fare? Occorre innanzitutto, fare diagnosi, correggere il difetto posturale, anche con banali plantari su misura, dopo esame baropodometrico (pedana computerizzata per lo studio della deambulazione). Ginnastica posturale e terapia fisica in genere. Antinfiammatori e miorilassanti per via orale o iniezione. Nei casi acuti, qualche giorno di terapia cortisonica. Nei quadri con protrusioni discali imponenti o ernie discali, un ciclo di infiltrazioni di ossigeno-ozono terapia, può aiutare. La chirurgia è l’ultima spiaggia, quando la stenosi è serrata da ernie voluminose e produzioni artrosiche che comprimono le formazioni nervose nel canale o nel forame di coniugazione. In tutti questi casi, comunque, è bene rivolgersi ad un chirurgo ortopedico specialista della colonna vertebrale.

Ernia ed Ossigeno - Ozono terapia

Gentile dottore,
ho 74 anni, sono alto 1,88 cm e peso 115 Kg.
Tre mesi fà in sede di R.M.N. mi è stato riscontrato "il disco L4- L5, globalmente protuso, che presenta ernia con estrinsecazione posteriore mediana- paramediana ed intraforaminale sinistra; l'ernia determina compressione delle radici di sinistra di L4 e di L5". L'ernia mi procura grave dolore solo alla gamba sinistra dal polpaccio con irradiazione verso l'alto esclusivamente nella stazione eretta e senza segni di limitazioni funzionali.
Ricevo consigli medici contrastanti: alcuni in favore dell'intervento chirurgico ed altri per l'ossigeno- ozono terapia con la metodica di un'unica iniezione intradiscale o con quella di una serie di iniezioni paravertebrali.
Vorrei sapere se la ossigeno- ozono terapia, sia nell'una che nell'altra forma, presenta apprezzabili possibilità di successo e, comunque, se è consigliabile sperimentarla prima di ricorrere eventualmente alla chirurgia.
La ringrazio fin d'ora.

Michele Di Schiena


La causa della malattia discale posteriore lombare o cervicale, (spesso semplificata in “ernia del disco”) puo’ essere multifattoriale e quindi legata non solo ad una degenerazione intrinseca del disco intervertebrale, ma anche a fattori anatomici, meccanici, flogistici e vascolari. Il dolore puo’ essere condizionato non solo (e non tanto) da una patologica compressione del disco intervertebrale protuso nei confronti della radice nervosa , quanto da una stenosi del canale insorta per una degenerazione artrosica delle faccette articolari posteriori.
Il fattore meccanico non e’ mai isolato, ma e’ complicato da fattori biochimici,vascolari e flogistici. Il dolore profondo a sede lombare e’ frequentemente associato ad una contrattura dolorosa da “entesopatia inserzionale” della complessa e multimerica muscolatura delle logge paravertebrali e dai suoi legamenti. Da quanto detto, deriva che il corredo sintomatologico della malattia discale lombare o cervicale, può, pertanto, ottenere un significativo beneficio dalla diffusibilita’ di una miscela gassosa di ossigeno-ozono, le cui note potenzialita’ biochimiche, antinfiammatorie ed immunomodulanti, possono agire sia a livello dell’ernia del disco, che sulle radici nervose interessate da una flogosi cronica.
Inoltre, è bene ricordare che l’ernia del disco è una malattia autoestinguentesi, nel senso che, nel tempo (da alcuni mesi a qualche anno) tende a regredire spontaneamente. Sfortunatamente il dolore, a volte insopportabile, impone talvolta il ricorso chirurgico. Alla soluzione chirurgica appartengono anche quei casi con un quadro clinico stabilizzato di compressione radicolare, con deficit nervosi importanti. L’intervento può essere eseguito con tecnica tradizionale (che preferiamo) o con la metodica microchirurgica (con o senza l’ausilio del microscopio operatorio). Di recente hanno ripreso vigore i trattamenti percutanei: la nucleolisi enzimatica, la nucleoaspirazione discale e l’ossigeno-ozono terapia. Si tratta di metodi relativamente poco cruenti che però, a fronte di una minore invasività, hanno un’efficacia inferiore e trovano indicazione in una fase acuta prechirurgica. Si eseguono a paziente sveglio e collaborante. Con un ago o una sonda (a seconda del metodo) si raggiunge lo spazio intradiscale o il forame radicolare e si inietta l’enzima litico o la miscela di ossigeno-ozono o si aspira il materiale discale. Nell’eventualità che i trattamenti percutanei risultino inefficaci si può ricorrere all’intervento chirurgico, sempre che vi siano le indicazioni cliniche e neuroradiologiche. È comunque consigliato attendere almeno qualche settimana prima di giungere al tavolo operatorio, in quanto la fase algica post- trattamento può tendere alla risoluzione spontanea nel tempo. Il trattamento con ossigeno-ozono nell’ernia al disco lombare è sostanzialmente privo di rischi o complicanze. L’ozono agisce agevolando l’essicazione naturale del materiale discale protruso o fuoriuscito. In conclusione, se la sintomatologia dolorosa lo consente, un trattamento con ossigeno ozono (intradiscale se c’è la protrusione o paravertebrale se l’ernia è già espulsa nel canale) è indicato e, spesso coadiuvante di una guarigione clinica. Senza dimenticare la chirurgia tradizionale che può subire solo un posticipo di intervento.

Cisti di Baker

Ho una cisti di Baker nel cavo popliteo ginocchio dx. Il ginocchio è già in sofferenza con cartilagini usurate, la massa muscolare sovrastante è buona. L’attività fisica va dal nuoto alla bicicletta all’alpinismo. E’ stata siringata, con terapia antinfiammatoria con Pensaid gocce e ghiaccio. Si è riformata , altra visita ortopedica. Consiglio, limitare gli sforzi, ciclo di infiltrazioni sul ginocchio dx, ghiaccio e antinfiammatori.
L’ortopedico ha escluso l’intervento chirurgico, e se peggiora si dovrà fare una risonanza magnetica. Una soluzione definitiva c’è o no? La ciste può risolversi da sola? L’uso di glucosamina può far bene al ginocchio? Grazie mille.
Fiorenzo Nardi – Brescia


Le cisti di Baker, note anche come cisti poplitee, costituiscono una patologia piuttosto comune, che colpisce le articolazioni in generale, ma prevalentemente il ginocchio e l'area del cavo popliteo (o fossa poplitea), parte posteriore della coscia nella quale sono raggruppati i muscoli necessari per il piegamento del ginocchio e la conseguente flessione della gamba sulla coscia. Le cisti di Baker possono presentarsi in qualsiasi fascia d'età e, a seconda delle dimensioni e dell'area colpita, possono raggiungere diversi livelli di pericolosità, per cui in certi casi risulta necessaria l'asportazione tramite intervento chirurgico. Attualmente si ritiene che le cisti poplitee siano dovute a un'anomala distensione della borsa del gastrocnemio-semimembranoso oppure, in misura minore, a un'estroflessione della membrana sinoviale articolare. Nella maggior parte dei soggetti normali è comune ritrovare una comunicazione anatomica tra la borsa del gastrocnemio-semimembranoso e il cavo articolare, tendente ad accentuarsi con l'avanzare degli anni. La borsa è posizionata tra il capo mediale del gastrocnemio e il muscolo semimembranoso, con la conseguenza che, in caso di versamento articolare, aumentando la pressione all'interno della cavità, il liquido può tranquillamente infiltrarsi nella borsa con un meccanismo a valvola che consente, tuttavia, soltanto il passaggio del liquido dal ginocchio alla borsa e non il contrario. Il liquido che penetra all'interno della borsa ne provoca una distensione, formando appunto le cisti. Le cisti di Baker possono scaturire inoltre per altri motivi: in certi casi possono formarsi senza il versamento intra-articolare, per esempio a causa di una borsite primaria; spesso accade che le cisti siano conseguenti a un'erniazione della membrana sinoviale in un'area di minor resistenza della parte posteriore della capsula articolare, per esempio tra il muscolo del gastrocnemio e il soleo. Solitamente le cisti poplitee si sviluppano in senso caudale e medialmente, mentre non capita quasi mai che si distendano in alto verso la coscia. Esistono numerose condizioni in grado di causare la formazione delle cisti di Baker. Le patologie più comuni nelle quali vi si assiste sono: l'artrite reumatoide e, meno frequentemente, l'artrite psoriasica. Piuttosto diffuso è inoltre il riscontro di cisti nella gonartrosi, soprattutto per ciò che concerne le forme a maggiore stampo sinovitico. Casi di cisti poplitee sono noti anche in altre tipologie di malattia come le connettiviti, la sinovite villonodulare o, infine, l'amiloidosi. Esiste anche una causa sportiva o predisponente: lo sforzo prolungato tipico del maratoneta può facilitare o causare la patologia. È quindi la quantità piuttosto che la qualità sportiva a essere responsabile.
Le cisti di Baker possono essere curate secondo diverse procedure, a seconda dell'origine, del loro grado di sviluppo e dell'area interessata. Nei casi in cui l'origine delle cisti sia traumatica è possibile somministrare dei semplici farmaci antinfiammatori, utilizzando le tecniche di ionoforesi (della durata di almeno 30 minuti) e di mesoterapia. Le cisti che si formano per sfiancamento della parete articolare posteriore, dovuta per esempio alla rottura del menisco o a un problema dell'articolazione, possono essere sottoposte ad artroscopia e pulizia dell'articolazione. Però, la soluzione definitiva è l’asportazione chirurgica per via posteriore. Noi consigliamo un app. gessato, nel post intervento, per 10 gg, per evitare le recidive. Tra le possibili complicanze che si possono avere va ricordata la compressione vasale, nel caso di cisti enorme, in grado di causare una sintomatologia molto simile a quella della tromboflebite, risolvibile con l’intervento.